Quando si parla di rinnovabili sono questi i numeri da ricordare: 20-20-20. Perché, come chiede l’Europa, entro il 2020 bisognerà ridurre del 20% le emissioni inquinanti e aumentare del 20% la produzione di energia sostenibile. E, in questa sfida, l’agricoltura italiana si candida ad un ruolo da protagonista: entro il 2020, infatti, il 45% dell’energia “green” italiana verrà dalle campagne e dai boschi. In Italia, la produzione di cibo resterà la vera vocazione dell’azienda agricola, ma sarà integrata con la produzione di agroenergie.

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Ma a una condizione: che questo processo venga accompagnato da politiche chiare, mirate e lungimiranti, ma soprattutto finalizzate all’integrazione: non si tratta di perseguire un dualismo inutile e sbagliato tra cibo ed energia, bensì produrre cibo ed energia in modo sostenibile, come occasione di sviluppo per le imprese agricole e per l’intera società italiana. E’ questo il messaggio lanciato dalla CIA-Confederazione italiana agricoltori  in occasione della presentazione del Rapporto sulle agroenergie alla VI Conferenza economica della Confederazione, che si è  svolta a Lecce.

“Biomasse e biogas insieme hanno i numeri e il potenziale per diventare una fonte strategica per la nuova politica energetica nazionale”, ha spiegato la CIA, “ma rappresentano anche un’opportunità di reddito integrativa per le aziende agricole, in grado di far crescere il Pil del settore di almeno 5 punti. Ma, soprattutto, puntare sulle agroenergie vorrebbe dire abbassare i costi della bolletta energetica e dei carburanti e ridurre le emissioni di anidride carbonica. Un aiuto per le imprese, ma anche un vantaggio per tutti”.

Oggi, infatti, la “nostra bolletta” è altissima, visto che l’Italia è costretta ad importare l’85% dell’energia che consuma. Ogni anno – ha osservato la CIA – “perdiamo” 60 miliardi di euro per l’acquisto di petrolio e gas dai Paesi esteri.

Sfruttando al meglio le agroenergie, invece, l’Italia potrebbe diminuire la sua dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, con un doppio vantaggio: fino a 20 miliardi di euro di risparmio in termini di costi e, soprattutto, un grande beneficio all’ambiente con 240 milioni di tonnellate in meno di Co2 nell’aria nei prossimi dieci anni.

Senza contare che gli effetti del pacchetto UE 20-20-20 clima-energia, e in particolare le riduzioni di emissioni di gas serra, determinerebbero un taglio dei costi sanitari stimato tra i 12 e i 26 miliardi di euro. In più – ha continuato la CIA – lavorare ad una filiera energetica “green” tutta italiana favorirebbe l’occupazione, in particolare quella giovanile.

La generazione distribuita, cioè piccoli e medi impianti diffusi nel territorio e orientati allo sviluppo locale, è la chiave per dare agli agricoltori un ruolo centrale nella “rivoluzione verde” e trasformarli da semplici fornitori di biomasse, che altri trasformeranno energeticamente, in protagonisti virtuosi e consapevoli sul fronte alimentare, energetico e ambientale”.ha dichiarato il vicepresidente della CIA, Domenico Brugnoni.

Il cibo resta la vera vocazione dell’azienda agricola“, ha aggiunto Marino Berton, presidente dell’Aiel, l’associazione italiana energie agroforestali della CIA, “ma l’integrazione con la produzione energetica è un’occasione eccezionale di competitività che può dare al “made in Italy” agricolo una marcia in più”, anche per uscire dall’attuale fase di crisi.

“Per questo, oggi, bisogna costruire una strategia di integrazione e non di competizione tra produzione alimentare e produzione di agroenergie”, ha sottolineato Berton. “Ed è in quest’ottica, che biomasse e biogas diventano uno strumento per salvaguardare lo stato di salute dell’azienda e quindi anche la sua attività primaria”.  

Ma quanto “valgono” le biomasse? Sono la principale fonte di energia rinnovabile in Europa – ha reso noto la CIA – e, solo in Italia, hanno fatto risparmiare all’ambiente 24 milioni di tonnellate di Co2. Si tratta dell’energia termica o elettrica derivante dall’utilizzo delle biomasse legnose, di pellet, cippato e delle potature di colture arboree, più in generale degli scarti di agricoltura e allevamento: un’energia che non solo è a “emissione zero”, ma è anche economicamente competitiva, dal momento che arriva a costare meno della metà dei combustibili fossili, e soprattutto è molto più stabile e indipendente dalle fluttuazioni del mercato.

Quanto al biogas, oggi sta vivendo un momento di grande espansione: solo fra il 2010 e il 2011 gli impianti in Italia sono quasi raddoppiati, passando da 273 a 521, con un aumento del 91%. Con un risparmio di 5 miliardi di euro l’anno sull’importazione di gas.

“Insomma”, ha concluso il vicepresidente della CIA, Brugnoni, “la valorizzazione energetica delle biomasse di origine agricola e forestale può rappresentare davvero un volano di crescita, non solo rurale. Ma sono necessarie politiche di sviluppo per le bioenergie che siano chiare, certe, lungimiranti, realistiche, pluriennali, locali (cioè che valorizzino le risorse del territorio) e globali (cioè armonizzate con lo sviluppo delle altre fonti rinnovabili e con le politiche europee e internazionali)”.

 

 

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