Da un mondo arabo travagliato da continui fermenti, arrivano due importanti segnali di rinnovamento: si tratta dell’Appello di Casablanca e del Documento per il Rinnovamento del Discorso Religioso, testi dai quali emerge una prorompente volontà di cambiamento politica, sociale e religiosa. Nelle ultime settimane la rivoluzione tunisina e i recenti eventi che hanno scosso la trentennale egemonia di Mubarak in Egitto hanno espresso in modo eloquente la diffusione di una capillare esigenza di rinnovamento. L’Appello di Casablanca (così chiamato dal nome della città marocchina in cui – lo scorso ottobre – ha avuto luogo una grande conferenza per discutere il futuro dei paesi arabi), un documento sottoscritto da 2200 intellettuali, politici e attivisti provenienti da 20 paesi arabi, sintetizza in modo puntuale i cambiamenti ritenuti necessari per lo sviluppo e il progresso della società araba attuale. Le riforme auspicate vanno dall’esigenza di costituzione di organizzazioni sindacali,  alla parità di diritti nella partecipazione delle donne e dei giovani, al progresso economico e sociale dei diversi paesi; nell’appello, si sottolineano inoltre l’importanza del settore educativo e – conseguentemente – della libertà di espressione e di insegnamento nelle scuole e nelle università. Uno degli aspetti di maggior peso dell’ “Appello di Casablanca” – oltre che al contenuto – è costituito peraltro dal fatto che il documento esprime le richieste di uno schieramento politicamente ampio e composito, che va dalla sinistra e dai secolarismi fino agli islamici moderati e ai “Fratelli Musulmani”.
Emad El-Din Shahid (firmatario del documento e docente di Religioni, Conflitti e Operazioni di Pace all’Università di Nôtre Dame), ha sottolineato l’importanza della rivoluzione tunisina in merito alla sottoscrizione dell’ “Appello di Casablanca”: “La rivoluzione tunisina ha spazzato via diversi miti: il mito dell’eccezione mediorientale alla democrazia, il mito di poter conseguire delle riforme economiche senza una liberalizzazione politica e il mito per cui il sostegno occidentale ai regimi autocratici della regione, manterrà la stabilità e proteggerà gli interessi strategici occidentali.

Il “Documento per il Rinnovamento del Discorso Religioso”, pubblicato in Egitto in 22 punti e 20 pagine  il 24 gennaio, ha una portata ancora più esplosiva dell’ “Appello di Casablanca”: si tratta infatti di una radicale messa in discussione del concetto di jihad e del ruolo della donna e implica la revisione dei testi religiosi (in particolar modo dei commenti coranici e delle parole attribuite a Maometto); notevole importanza è attribuita inoltre alla separazione fra religione e politica. Il documento, che è stato pubblicato sul sito del settimanale “Yawm al-Sabi”, nasce dalla trascrizione e sistematizzazione di discorsi pronunciati da 23 dotti islamici dell’Università di Al Azhar del Cairo: il cuore della formazione teologica e religiosa islamica. Il documento, che si è diffuso a macchia d’olio via web, ha prodotto un’eco enorme: purtroppo sostanzialmente negativa, ma comunque fondamentale per scalfire l’immagine monolitica di un mondo arabo intransigentemente immobile e refrattario alle esigenze di rinnovamento.

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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