Flash mob etico = cash mob solidale: al “Salone del Csr e dell’Innovazione Sociale” si è parlato anche di questo, delineando la possibilità di costruire nuovi strumenti di “intervento dal basso”. Obiettivo: salvare piccole aziende “virtuose” e incentivare la nascita di nuovi pionieri di un mercato che, oltre che libero, deve necessariamente configurarsi come etico.

Consumatori o “consum-attori”? Luca Raffaele, Responsabile Marketing di “NeXt-Nuova  Economia per Tutti”, non ha dubbi: la crisi economica attuale – questa lunga crisi che sembra non passare mai ma che, al tempo stesso, qualcosa ci sta pure insegnando – ha posto all’ordine del giorno l’esigenza di una trasformazione radicale delle basi stesse dell’economia e delle sue finalità. Una scommessa in cui il consumatore è chiamato a giocare una funzione di primo piano esercitando, di fatto, un ruolo di cittadinanza attiva nell’ambito dell’economia di mercato e incentivando in prima persona lo sviluppo di una vera e propria cultura del “consumo responsabile”. Ed ecco che entriamo in medias res, con una traduzione ad hoc del flash mob: il cash mob, originale trovata con cui, nel 2011, un blogger di Buffalo riuscì a far confluire una consistente massa di persone su un negozio di vini. Non si tratta di pubblicità ovviamente, sia per le modalità secondo cui si sviluppa – la pubblicità mira a influenzare passivamente, il cash mob punta a informare e coinvolgere in modo attivo – sia per gli obiettivi diretti, piccole aziende con scarsa visibilità che si distinguono in base a criteri di responsabilità sociale e sostenibilità.

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Tuttavia, dal momento che la maggior parte delle aziende sostenute opera nel settore alimentare, una domanda sorge spontanea: quali sono i costi? Già, perché come tutti sanno, i prodotti alimentari “di qualità” non sono, né d’altra parte potrebbero essere, propriamente low cost. Come si concilia quindi l’incentivazione di una cultura alimentare di consumo responsabile con la realtà del comune cittadino, il cui portafoglio è di fatto sempre più vuoto? “Con un cambio di mentalità – risponde Cinzia Scarfiddi di “Slow Food” – Ormai si è fatto strada un concetto pericoloso che identifica ciò che è ‘democratico’ in ciò che è a basso costo; in realtà la democrazia si identifica in un altro elemento e cioè nel concetto di ‘delega’: in politica, attraverso il voto, scelgo un candidato e poi verifico che le sue azioni corrispondano effettivamente alle mie aspettative. Questo atto di scelta e di verifica dovrebbe poter essere applicato anche al nostro rapporto nei confronti del cibo, ma le scarsissime informazioni fornite dalle etichette non lo consentono. Hai mai letto l’etichetta di un formaggio qualsiasi venduto al supermercato? Sai cosa recita? Latte, caglio e sale. Che informazioni realmente utili fornisce al consumatore un’etichetta di questo tipo? Nessuna.” Detto in pillole, educare il consumatore alla scelta non significa necessariamente condurlo verso il prodotto più a buon mercato. Concetto difficile da diffondere, soprattutto oggi. Ci vorrebbe un mutamento di mentalità rispetto ai consumi, una revisione radicale della lista delle priorità; in parole povere, ce n’è ancora di strada da fare ma iniziare a “votare con il portafoglio”, anziché svuotare passivamente le tasche, può senza dubbio essere un buon punto di partenza.

 

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