Don Mazzi e Roberto Re: un popolare promotore di progetti di recupero per tossicodipendenti e un coach capace di sfornare leader (aziendali e non) con un solo schiocco di dita. Mondi diversi, paralleli e non comunicanti verrebbe da dire. E invece no: il 5-6 ottobre i due mondi si sono intersecati dando vita all’“Italian Leadership Event”, una due giorni ricca di appuntamenti, a metà fra l’evento formativo e il gran galà di ospiti illustri. PlatinetteGiovanni Rana, Martina Colombari, Flavio Briatore, Giusi Versace (giusto per citare alcuni nomi) si sono avvicendati nell’aula magna dell’Università Bicocca per raccontarsi e regalare al pubblico storie di successo, fiabe in carne e ossa con il lieto fine stampato sul volto.

E davvero, radiografando il pubblico che fa domande a raffica, sembra che di fiabe a lieto fine ci sia davvero bisogno. Sembra proprio l’elemento portante di una platea che per il resto si profila come abbastanza diversificata: ci sono il manager rampante e lo yuppie in ritardo sugli anni Ottanta, ma c’è anche il padre di famiglia che fatica a tenere a bada la sua nidiata di cuccioli scalpitanti. E poi ci sono i tanti giovani che – glielo leggi stampato in faccia – investono tutte le loro energie e, non senza fatica e sacrifici, cercano di affermarsi in un panorama lavorativo che assomiglia sempre di più a un terreno post-bellico.

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Gli ospiti si raccontano, loquaci: Martina Colombari racconta il suo percorso da Miss Italia cresciuta: le gioie del set, la vita di famiglia, ma anche l’impegno come testimonial e volontaria della “Fondazione Rava”, i viaggi ad Haiti, terra martoriata dal terremoto e dal colera raccontata con immagini scabrose e a tinte forti. Certo è difficile immaginarsela, la reginetta d’Italia di vent’anni fa, presso l’obitorio cittadino, armata di mascherina e balsamo di tigre, mentre aiuta padre Henrique a dare degna sepoltura a mucchi di cadaveri o impegnata a distribuire protesi ai bambini rimasti senza gambe in seguito al devastante cataclisma di tre anni fa. “Distribuivamo ai bambini delle protesi rudimentali, tutte bianche… all’inizio magari non le volevano, poi gliele coloravi con l’Uniposca e iniziavano a sorridere, ad accettarle; magari qualche tempo dopo imparavano a giocarci a calcio.” Sorride Martina e, con un accento romagnolo che dopo tanti anni sembra non essersene ancora andato, racconta come questo impegno, questa finestra aperta sul mondo, rappresenti l’altro lato del successo, quello di cui forse è più orgogliosa.

È poi la volta di Giovanni Rana, che racconta la sua storia con la stessa semplicità con cui tutti noi lo abbiamo conosciuto nei suoi spot televisivi. Dopo lo sbarco negli USA, il suo grande sogno adesso è “far assaggiare ai cinesi un tortellino a testa!” Con una cadenza veneta che a volte sfuma nel dialetto, racconta mezzo secolo di esperienza, gli aneddoti degli esordi, scatti fotografici su un Italia che non c’è più: un ragazzino di tredici anni che inizia a impastare il pane presso il forno dei genitori, poi decide di osare qualcosa di nuovo e (lui, veneto purosangue) fonda un laboratorio per la produzione di tortellini e senza saperlo pone le basi di uno dei pastifici più rinomati in Italia e nel mondo.  Ha la vèrve di un cabarettista nato… o forse di un nonno che sa come incantare il suo uditorio e si capisce come il pubblico penda letteralmente dalle sue labbra. Le domande fioccano, è uno stillicidio: come ha fatto a costruire un piccolo impero che oggi è sbarcato anche in America, qual è il segreto del successo? Ma soprattutto: qual è la ricetta per uscire dalla crisi? Perché questa è la costante, la domanda che viene ripetuta a tutti e alla quale non è facile rispondere. Non ci sono ricette: come diceva il grande Eduardo De Filippo “ha da passà ‘a nuttata”… ma le belle storie (questo è certo) la nuttata aiutano a farla passare meglio.

 

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