Ci sono cattedrali che, oltre alla bellezza, fanno tesoro di un misterioso valore aggiunto. La cattedrale di Santiago de Compostela, per esempio, al di là dei sui mille e più anni di storia e al tripudio barocco della facciata dell’Obradoiro, trasmette a chi la raggiunge qualcosa che va al di là del puro e semplice stupore. Forse perché la grande chiesa in cui riposano le spoglie di San Giacomo Maggiore, rappresenta il punto di arrivo di un percorso territoriale e interiore denso di storia e di significati: il Cammino di Santiago.

Celebre per i circa 200.000 pellegrini che ogni anno lo percorrono, il Cammino di Santiago nasce da una leggenda che ha il sapore di una fiaba. 1200 anni fa, l’eremita Pelagio vide delle strane luci simili a stelle là dove attualmente sorge la città. Seguendole, Pelagio scoprì il luogo in cui era stato sepolto San Giacomo Maggiore, morto in Palestina e trasportato nella terra che aveva evangelizzato a bordo di una barca guidata dagli angeli. Il nome della città nacque così: Santiago (Tiago è una variante spagnola del nome Giacomo) de Compostela (da ‘campus stellae’, per ricordare le luci avvistate da Pelagio). Sorsero così la cattedrale, la città e un percorso che dal Medioevo a oggi, avrebbe traghettato verso il capoluogo della Galizia milioni di pellegrini. Tanto che in Italia, per indicare la fatica di un viaggio che va fatto rigorosamente a piedi, nacque l’espressione ‘ho le gambe che fanno Giacomo-Giacomo’.

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Al di là delle implicazioni religiose, tuttavia, l’aspetto più interessante del Cammino di Santiago è il riscontro che trova anche presso le tante, tantissime persone che lo percorrono per i più svariati – e laici – motivi, che vanno dalla delusione amorosa alla più generica esigenza di riprendere in mano le redini della propria vita ristabilendo un contatto con se stessi.

Camminando, a lungo: proprio come gli eroi delle fiabe (non è infatti un leitmotiv fiabesco il famoso ‘cammina, cammina…’?). Questa riscoperta del viaggio a piedi e della lentezza, intesa come antidoto ai ritmi sclerotici della società contemporanea, non rappresenta una moda, ma una tendenza che attualmente prolifera anche nelle città, dove ha dato origine al fenomeno dei cosiddetti trekker urbani (basti pensare a ‘Sentieri Metropolitani’, in Italia). Il turismo sostenibile si condisce di nuovi significati e lo fa guardando al passato: quello millenario di percorsi come il Cammino di Santiago e quello più recente, che porta alla riscoperta in chiave creativa, delle teorie psicogeografiche di Guy Debord e dei Situazionisti francesi.

Ecco perché anche oggi, sono così tante le persone che si incamminano lungo la via che porta a Santiago. Anzi, lungo ‘le’ vie che portano a Santiago. I cammini, sono infatti diversi. C’è la via Francigena, che dall’Italia, attraversando il Moncenisio (o il Monginevro) prosegue poi lungo la Tolosana fino ai Pirenei. E c’è il Cammino del Nord, certamente il più antico: 825 km che dalla cittadina frontaliera di Irùn si snodano lungo il litorale, sfiorando la costa selvaggia del Mare Cantabrico. Il Cammino Francese, se non il più antico, è però certamente il più famoso. Un itinerario di 780 chilometri che nasce sui Pirenei e prosegue dividendosi lungo due direttive: Roncisvalle (la famosa Roncevaux della Chanson de Roland) e il Passo del Somport, in Aragona. C’è poi un quarto cammino, una ‘chicca’ molto meno conosciuta delle altre tre ma altrettanto antica: il Cammino Portoghese, che da Lisbona conduce a Santiago attraverso 625 km di pura magia.

Quindi, zaino in spalla e prepariamoci al viaggio. Con la dovuta lentezza, però: perché lungo sentieri come questo, in cui il confine tra mondo interiore e realtà esterna è una membrana labilissima, non esiste il concetto di traguardo e come ricordava Konstantinos Kavafis – nella sua bellissima ‘Itaca’ – l’importante non è la meta, ma il viaggio che si intraprende per raggiungerla.

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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