Ogni anno, nel mondo, sono circa 1 milione i bambini che nascono con cardiopatie congenite e, purtroppo, 800.000 di loro sono destinati a non sopravvivere, perché vivono in Paesi poveri o in via di sviluppo, dove le cure sanitarie sono un privilegio di pochi o dove mancano addirittura le strutture ospedaliere specializzate. Per aiutare questi bambini meno fortunati di altri, è nata la campagna “Cuore di bimbi”.

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Organizzata dalla Fondazione “Aiutare i bambini” Onlus che, dal 2005, grazie alla collaborazione con le strutture sanitarie partner (Ospedale Niguarda-Ca’ Granda di Milano, Ospedali Riuniti di Bergamo, Policlinico di San Donato Milanese, Ospedali di Bologna, Faenza, Modena e Rimini, e Ospedale del Cuore Pasquinucci di Massa), la campagna “Cuore di bimbi” si propone di salvare e curare i piccoli dei paesi in via di sviluppo, mandando sul posto équipe di medici volontari, finanziando il trasporto in Italia dei bambini e aiutando economicamente le famiglie ad affrontare, nel loro paese, le spese dell’intervento.

“Con i 620 interventi svolti in questi  anni,  non abbiamo di certo la pretesa di risolvere questo grave problema nel mondo”, dichiara Goffredo Modena, presidente della Fondazione, “ma ogni bambino salvato è una vita in più e questo ci basta”.

Attualmente sono 11 i progetti in corso e sono 10 i  Paesi coinvolti ( Kazakistan, Uzbekistan, Eritrea, Cameroun, Kurdistan, Kosovo, Albania, Zimbabwe, Cambogia e Sudan). L’ultima missione si è svolta, lo scorso luglio, in Uzbekistan.

“I risultati”, racconta Stefano Marianeschi, coordinatore della missione e responsabile della Cardiochirurgia pediatrica dell’ospedale Niguarda, “sono stati ottimi: in una settimana abbiamo eseguito nove operazioni salvando altrettanti bambini. L’aspetto positivo è che quest’anno, per la prima volta, tre  interventi sono stati eseguiti dall’équipe locale con il nostro aiuto. Questo, oltre a rinsaldare la fiducia reciproca, ha dato un impulso nuovo all’équipe locale ed è stato un altro passo verso la loro indipendenza.”

Infatti, l’obiettivo a medio-termine di queste missioni è quello di rendere sempre più autonomi gli ospedali locali nel trattare questo tipo di patologie, anche attraverso momenti di formazione specifica.

 

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