Uno studio della British Columbia University pubblicato su Nature scoprì “l’ormone del benessere”

Iniziamo con un esperimento facile e veloce. Provate a richiamare alla memoria almeno tre notizie, tra quelle che avete letto o sentito nel corso dell’ultima settimana, che vi hanno trasmesso un senso di benesserefelicità o gioia, riuscendo (anche solo per un attimo) a rendervi felici. Avete trenta secondi di tempo. Fatto?

Bene. Pensate ora a tre notizie che avete appreso nello stesso arco di tempo ma che, invece, hanno suscitato in voi sentimenti opposti come ansia, preoccupazione e tristezza.  Ancora una volta, trenta secondi. Finito?

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Comparate ora le risposte (mentire non serve, nessuno vi giudicherà). Se avete avuto maggiori difficoltà a rammentare le buone notizie rispetto alle cattive, non preoccupatevi: è assolutamente normale.

Molti studi, infatti, dimostrano che le persone sono più naturalmente portate a ricordare del male ricevuto o appreso (ad esempio tramite la notizia di un efferato crimine, l’immoralità di alcuni atteggiamenti, il catastrofismo e così via). Questo capita perché il male tende a imprimere sulla nostra coscienza un marchio più netto di quanto faccia il bene, spesso identificato, soprattutto quando riferito all’agire umano, come normale adesione alle convenzioni sociali.

Raramente riconosciamo il bene come necessità di bontà e virtù innata nell’uomo. In altre parole, siamo – per convenzione – abituati a notare e a soffermarci maggiormente sugli atteggiamenti negativi che scorgiamo negli altri e a perdere di vista le infinite buone notizie che ci circondano. Ed è proprio per questo che, come sostiene Marco Antonio nel Giulio Cesare di Shakespeare, siamo convinti che “il male che gli uomini fanno, sopravvive loro; il bene, invece, viene quasi sempre seppellito con le loro ossa”.

È vero. Siamo culturalmente propensi al negativo. Siamo abituati fin dai tempi della scuola a essere giudicati in base agli errori che commettiamo (chi non ricorda con terrore la famigerata matita rossa che l’insegnante usava nelle verifiche?) anziché premiati e incoraggiati nella direzione delle nostre naturali e individuali attitudini.

Ma se Shakespeare avesse torto? E se fosse il bene a sopravvivere all’uomo? Se l’atteggiamento culturale cui siamo abituati fosse sbagliato? E se esporsi a ciò che è buono (da non confondere con buonista), etico, esemplare, giusto, straordinario provocasse in noi reazioni in grado di influenzare i nostri comportamenti e – perché no – renderci delle persone migliori?

È quanto sostiene uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università della British Columbia di Vancouver. Secondo i ricercatori canadesi, apprendere notizie di straordinario valore può stimolare pensieri, emozioni e addirittura provocare reazioni fisiche tali da lasciare, nelle persone che le apprendono, un’impronta duratura capace di influenzarne le azioni future.

Questo fenomeno, che in psicologia prende il nome di elevazione morale viene collegato all’esperienza estetica, che viviamo quando entriamo in contatto con un oggetto di raffinate fattezze. A differenza di quest’ultima però, l’elevazione morale può appunto provocare cambiamenti comportamentali e predisporci all’empatia e all’interazione sociale.

Sottoposti ad uno stimolo mediatico di straordinario valore, sviluppiamo pensieri ed emozioni positivi come commozione, ammirazione, affetto, e in alcuni casi anche amore nei confronti del soggetto protagonista dell’azione.

Sebbene queste reazioni siano state registrate nella quasi totalità di soggetti, non siamo tutti uguali e a fare un’ulteriore differenza è ciò che – sempre in psicologia – viene definita identità morale.

L’identità morale può essere considerata come l’indicatore del carattere morale di un individuo nel processo di auto determinazione del sé.  È insomma ciò che orienta le nostre scelte in senso morale o meno… ma questa è un’altra cosa.

Per quanto soggetti dotati di maggior identità morale siano più propensi a sperimentare l’elevazione morale, come dimostra lo studio condotto nel 2011 da Karl Aquino della British Columbia University di Vancouver e Brent McFerran dell’Università del Michigan, quasi tutti gli individui quando apprendono notizie di straordinario valore, sperimentano una – seppur breve e passeggera – propensione al miglioramento personale e una più positiva predisposizione nei confronti del genere umano.

Ancora più interessante è pensare che accanto a pensieri ed emozioni, l’elevazione morale produce nell’individuo particolari reazioni fisiche, quali – ad esempio – un diffuso senso di calore (principalmente riscontrato nella zona addominale) e una sensazione di “nodo alla gola”. Secondo Jennifer Silvers e Jonathan Haidt, due ricercatori dell’Università della Virginia, rivelarono nel 2008 in un loro studio (Moral Elevation can induce nursingche queste reazioni potrebbero essere causate dal rilascio di ossitocina (l’ormone responsabile dell’innamoramento), il cui aumento di quantità contenuta nel sangue è stato già in passato associato a stimoli esterni di fiducia, benessere, empatia, felicità e amore.

Più conosciuta come la droga delle coccole, l’ossitocina è una sostanza naturale che provoca sensazioni di appagamento, contentezza e combatte l’ansia. Questo ormone si trova grosso modo in egual misura negli uomini e nelle donne, anche se sono quest’ultime – grazie ad estrogeni e prolattina – ad avvertirne maggiormente gli effetti.

Il neuro-economista americano Paul Zak, è convinto che anche l’interazione umana che avviene attraverso i social media possa rilasciare consistenti quantità di ossitocina nel sangue, producendo effetti positivi che sarebbero alla base dei diffusi comportamenti benevoli e generosi degli argonauti della rete.

È quindi l’ormone a renderci positivi e ottimisti? È compito della scienza provare e confermare quelle che, ad oggi, risultano solo ipotesi.

 

Articolo pubblicato originariamente sul numero zero di BuoneNotizie MAG

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