Più controlli e sicurezza per le 143 centrali nucleari dell’Unione Europea: è questo l’obiettivo dei nuovi test di resistenza a cui saranno sottoposti gli impianti a partire già da questo mese. Una scelta che è parsa obbligatoria alle istituzioni europee dopo l’incidente di Fukushima, che ha riaperto la riflessione sull’utilizzo di questa fonte di energia.

Ad essere posta sotto i riflettori è la capacità di resistere a potenziali minacce come terremoti, inondazioni, errori umani ed incidenti aerei. Tre saranno le fasi previste dai test: una prima fase di “pre-valutazione” fornita dagli stessi gestori degli impianti, una seconda fase dove ad essere coinvolte saranno le autorità nazionali, e il terzo step che prevede analisi condotte da esperti del settore.   

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Oltre a questi controlli, inoltre, verrà creato un gruppo di lavoro separato per le minacce terroristiche, che discuta misure di sicurezza adeguate” ha spiegato Herbert Reul, presidente della Commissione Industria, Ricerca ed Energia dell’UE.   

La questione nucleare e i relativi controlli stanno scatenando un vasto dibattito tra i membri delle diverse commissioni europee: se per alcuni parlamentari sarà difficile che un evento come quello giapponese possa verificarsi in Europa, altri membri insistono sulla necessità di maggiore indipendenza e trasparenza dei controlli sull’efficienza delle centrali. E, soprattutto, puntano il dito sul carattere volontario dei test e sulla non-obbligatorietà di chiusura degli impianti che non raggiungano gli standard previsti.

Di parere opposto, Günther Oettinger, commissario europeo per l’Energia, che, a tale proposito, ha ribadito come le prove siano  “complete e di vasta portata”, aggiungendo anche come l’UE non si lesinerà ”sugli sforzi per attuare le più rigorose norme di sicurezza alle centrali nucleari in Europa e nei paesi limitrofi”, ben conscio che la parte più difficile, cioè far rispettare tali criteri con tutto il rigore necessario”,  inizi proprio ora.

Altro tema caldo risvegliato dall’incidente giapponese è quello delle scorie radioattive, ad oggi stipate in strutture temporanee. Una soluzione di breve periodo che però non risolve il problema. “Chi inquina paga” è il motto di una proposta sul loro smaltimento, di cui si è discusso, e si continua a discutere, al Parlamento Europeo.   

E se l’Italia ha detto no al nucleare, nazioni come Germania e Svizzera hanno annunciato la chiusura delle proprie centrali entro, rispettivamente, il 2022 e il 2034.  

In questo clima, la Commissione europea Industria, Ricerca ed Energia sta lavorando anche per ottenere l’estensione dei test ai paesi vicini all’UE, come Russia, Svizzera, Ucraina ed Armenia. Un tentativo che mette d’accordo tutti i membri della Commissione, dato che le radiazione nucleari non hanno confini.

Un dibattito vivo, dunque, che può far ben sperare nella piena presa di consapevolezza dei rischi legati all’utilizzo dell’energia nucleare. E nella grande potenzialità delle rinnovabili, alla ricerca di nuovi scenari e mix energetici.

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Isabella Berardi

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