Se qualche anno fa sembrava una scommessa, oggi lo sviluppo della mobilità elettrica è un dato di fatto. Anche in Italia, dove – è vero – lo sviluppo del settore marcia a passo meno spedito “e pur si muove”, come direbbe Galileo, seguendo un incontestabile trend di crescita. Ne è un segnale esaustivo la seconda edizione della E-mob 2018, la Conferenza Nazionale della Mobilità Elettrica, in corso a Milano fino al 29 settembre. Sono in molti, tuttavia, a porsi alcune domande di base. Prima tra tutte: ma le auto elettriche sono davvero ecologiche? Qual è in termini reali il loro impatto ambientale?

La diffusione della mobilità elettrica è in crescita, lo dicono i dati. Crescita, però, non solo nel senso di diffusione più o meno a macchia d’olio (a seconda dei contesti). Quando un fenomeno si consolida e diventa trend, la crescita è un tema che non va affrontato da un punto di vista meramente quantitativo  ma soprattutto in termini di approfondimento. Nell’ambito della mobilità elettrica, questo passaggio ha incrementato fior di studi che hanno contribuito a riformulare l’impostazione un po’statica dell’equazione “auto elettriche=zero emissioni ” in un interrogativo aperto, ovvero: “in che modo le auto elettriche possono avere il minor impatto ambientale possibile?” La domanda non è, ovviamente, fine a se stessa ma volutamente costruttiva: le risposte, quindi, vanno date  in termini di prassi concrete. E condivise.

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Ciò che è certo, infatti, è che il problema non può essere considerato a scatola chiusa. Qualche anno fa l’Industrial Ecology Programme della Norwegian University of Science e Technology ha evidenziato come l’impatto ambientale reale delle auto elettriche dipenda da diversi fattori: la provenienza dell’elettricità, in primis e i metodi di produzione delle batterie. Ovvio che se l’elettricità viene prodotta con l’uso di combustibili fossili, per esempio, l’impatto ambientale risulterà maggiore. Più di recente, una ricerca condotta da “European Climate Foundation” e da “Fondation pour la Nature et l’Homme”  ha approfondito ulteriormente il tema.

Le conclusioni vanno ovviamente contestualizzate (nello specifico riguardano la Francia) ma possono fornire alcuni spunti scalabili in altri contesti. La ricerca ribadisce l’importanza della riduzione dell’impatto in fase di produzione sottolineando la necessità di realizzare un’economia circolare, che vada dall’eco-progettazione delle batterie (con sviluppo parallelo di nuove chimiche) al problema del riciclo, potenziando l’ottimizzazione dei veicoli attraverso la diffusione capillare del car sharing e incrementando lo sviluppo delle tecnologie V2G, che permettono alle auto elettriche di funzionare come vere e proprie batterie virtuali, in grado di accumulare e immettere nuovamente in rete l’energia accumulata, fornendo al sistema elettrico una flessibilità complementare.

Chiaro che un’analisi di questo tipo implica un approccio pratico, orientato al cambiamento ma anche al confronto e alla condivisione. Non è un caso che le due parole chiave di E-mob 2018, la Conferenza Nazionale della mobilità Elettrica in corso a Milano dal 27 al 29 settembre, siano appunto Condivisione e Diffusione, declinabili anche in termini di prassi politica come mostra la presentazione di una “Carta Metropolitana della Mobilità Elettrica” pensata apposta per rendere i comuni italiani a misura dei veicoli a batterie. Sarà un’impostazione volutamente aperta, quella di E-mob 2018, che metterà sul tavolo problematiche e soluzioni possibili in un’ottica di confronto e dialogo. Basti pensare al tema del trasporto pubblico a emissioni zero, che verrà trattato in base a diverse visioni: quella di Asstra, quella del piano Full Electric di ATM Milano e quella di Toshiba.

Tornando all’interrogativo iniziale, quindi, la domanda non è se l’auto elettrica sia davvero ecologica ma: in che direzione dobbiamo muoverci – rigorosamente in sinergia – perché l’impatto ambientale della mobilità elettrica sia il più ridotto possibile? Insomma, così come la domanda va riformulata anche la risposta, ripensandola al plurale e in termini di azioni comuni.

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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