Circoncisione femminile, escissione, infibulazione “faraonica”, sono tutti tipi di mutilazione genitale cui le donne da secoli sono sottoposte in alcuni paesi dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia. Dal 5 aprile il governo eritreo ha finalmente compiuto un passo importante per cercare di mettere fine a questa pratica. Lo ha fatto con il Proclama 158/2007, che mette al bando qualsiasi tipo di mutilazione genitale femminile, punendo e arrestando i trasgressori.
La pratica, da molti ritenuta legata alla religione islamica, ma in realtà esistente e radicata nella zona ben prima dell’avvento dell’Islam, colpisce al giorno d’oggi circa il 90% delle donne eritree, così come di altri paesi come Egitto, Sudan, Mali, ma anche asiatici come nel caso di Indonesia, Pakistan o Malesia. Si calcola che in tutto siano circa 140 milioni le donne, musulmane e cristiane, che hanno dovuto subire la mutilazione genitale, nelle varie forme in cui è praticata.
Non solo oggi è un’usanza inaccettabile sotto il punto di vista dei diritti umani, ma risulta anche molto dannosa per la salute delle donne. Spesso, infatti, l’infibulazione è praticata senza le minime precauzioni igieniche, con vecchie lame di rasoi e senza curarsi di possibili infezioni. In questo modo la vita di queste donne risulta compromessa, senza contare l’umiliazione e il dolore fisico.
La decisione di Asmara dovrebbe far riflettere tutti i governi di quegli stati in cui la mutilazione genitale femminile è ancora tollerata, e potrebbe aprire la strada ad una presa di coscienza generale circa la gravità del fenomeno e delle sue conseguenze sulla vita delle donne.