Per l’esattezza, 1.305.639. Ora è ufficiale: questo è non semplicemente il numero di firme raccolte in tutta Italia, ma il numero di firme già certificate (e, quindi, valide) che hanno sottoscritto la richiesta referendaria di abrogazione dell’Art. 2 della Legge 31 Ottobre 1965, n. 1261 e denominata “Tagli agli stipendi d’oro dei parlamentari“. A due settimane esatte dalla chiusura della campagna di raccolta firme (il termine ultimo era stato fissato lo scorso 30 luglio 2012) arriva la conferma ufficiale, da parte del Comitato promotore, del numero di firme pronte per essere depositate in Cassazione: “Le firme sono valide, certificate dal notaio. Le consegneremo a gennaio 2013″.

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Un numero impressionante, che ha superato ampiamente il numero minimo necessario per presentare richiesta di referendum (pari a 500.000 firme). Un vero successo, al di là di ogni più rosea previsione, se si considera il fatto che è stato raggiunto senza il supporto dei media nazionali e malgrado l’ostracismo di molti detrattori dell’iniziativa. Il referendum, lo ricordiamo, ha come l’obiettivo abolire l’indennità che i parlamentari percepiscono – si parla di circa 3.000 euro al mese a testa – per vivere a Roma, nonostante molti di essi abbiano già la residenza nella Capitale.

“1.305.639 è un numero che racchiude un forte segnale politico” ha dichiarato Maria Di Prato, coordinatrice nazionale di Unione Popolare (unico componente il Comitato referendario). “Un desiderio primario dei cittadini. Un desiderio forte e già palese ma ora, col conforto numerico, diventato  incontrovertibile. Un risultato che  dimostra in modo nitido il profondo solco creatosi tra classe politica e popolo. Un pieno dissenso dei cittadini tutti che non si sentono più rappresentati dagli attuali politici. Mai prima d’ora si era visto un movimento, che vive esclusivamente di autofinanziamento, conquistare un simile risultato”, sottolinea Di Prato (nella foto sotto, al centro). 

Di Prato, inoltre, tranquillizza tutti i firmatari e conferma che la procedura è valida: secondo 11 costituzionalisti interpellati dagli stessi organizzatori, è tutto regolare. Tuttavia, il Comitato promotore si appella ora al Governo e ai Presidenti di Camera e Senato, esortandoli ad intervenire al più presto “affinché la volontà popolare sia rispettata e si proceda, quindi, all’immediata abolizione della diaria del parlamentari”, senza aspettare la consultazione popolare, mettendo così a tacere chi li accusa di voler incassare i rimborsi referendari. E’ vero che per ogni firma raccolta un comitato referendario percepisce 0,52 centesimi, ma solo se un referendum viene indetto e solo se si raggiunge il quorom (cioè 50% +1 degli aventi diritto). E su questo punto, Di Prato ribadisce: “Come più volte dichiarato, Unione Popolare ha deciso di rinunciare ai rimborsi“.

La speranza del Comitato promotore è di non dover andare alla consultazione diretta dei cittadini, in modo da risparmiare denaro pubblico che andrebbe utilizzato per risolvere problemi più urgenti per il Paese: Sappiamo che i referendum hanno un costo. Mi auguro che chi comanda capisca che i sacrifici sono di tutti e che procedano con il diminuirsi lo stipendio, ha sottolineato Di Prato. “Se segnali in questa direzione non ci saranno, noi continueremo – anche dopo la pausa estiva – a raccogliere le firme per tenere accesa la fiaccola del cambiamento”.

Il problema, che si è posto negli ultimi tempi, riguarda la norma che prevede che le firme per richiedere l’indizione di un referendum non possano essere depositate in Cassazione nell’anno anteriore alla scadenza del mandato delle due Camere (Art.31  della Legge in materia referendaria 25 maggio 1970, n. 352). Il Comitato promotore – su questo punto – si è rivolto ad 11 giuristi esperti in diritto costituzionale, che hanno dato parere favorevole sulla validità della raccolta. Secondo gli esperti, la raccolta firme non è limitata soltanto al periodo di tre mesi dalla “prima data” di vidimazione dei fogli, ma il promotore di un qualsiasi referendum può sempre richiedere agli uffici competenti la vidimazione di altri fogli. Ciò significa, in pratica,  che la raccolta firme dura tre mesi per ognuno dei fogli vidimati.

Sempre secondo i Costituzionalisti, nei periodi in cui è vietato il deposito delle firme, i fogli vidimati e firmati non perdono efficacia e possono essere depositati nel momento in cui riparte il periodo nel quale è ammesso il deposito. Per tutti questi motivi, Unione Popolare, ha dichiarato che ha deciso di proseguire, da settembre in poi, nella raccolta firme in tutta Italia.

Va ricordato che, dopo che tutte le firme certificate saranno consegnate in Cassazione a gennaio 2013, se queste saranno ritenute valide, la parola passerà alla Corte Costituzionale, la quale dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del quesito referendario entro gennaio 2014. La procedura, quindi, sarà lunga e sarà necessario aspettare e pazientare. Ecco perché il Comitato promotore si appella direttamente a Governo e Camere chiedendo di rispettare la volontà popolare decurtandosi immediatamente lo stipendio, senza aspettare la consultazione popolare vera e propria.

“In una democrazia compiuta si deve necessariamente tener conto del parere diffuso di chi, costituzione alla mano, è ritenuto detentore della sovranità” dichiara il Comitato promotore. “E’ giunto il momento che i nostri cari politici, tra i più pagati al mondo, facciano autonomamente ciò che i tanti cittadini italiani hanno chiesto firmando il referendum. 

Sarebbe un passo decisivo che, in ordine cronologico, produrrebbe tre tipi di effetti:
– scongiurerebbe la celebrazione di un referendum, coi relativi costi;
– rappresenterebbe un gesto di civiltà e di grande responsabilità verso il Paese che soffre;
– ed, infine, eviterebbe l’acuirsi di una già stratificata avversione proveniente da larghissimi strati della popolazione di questo Paese”. 

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