Ci sono posti al mondo, in cui la guerra è una realtà. Per noi, che apparteniamo al fortunato spicchio di pianeta in cui la pace viene data per scontata, la guerra è un’astrazione: una calamità del passato, cancellata per sempre dopo la fine del secondo conflitto mondiale e scongiurata dall’esito, fortunatamente non cruento, della Guerra Fredda. Eppure, c’è qualcosa che fa capolino attraverso il rassicurante filtro dei media, o tramite i rapporti di Emergency. La realtà bussa alla nostra porta, anche se non siamo abituati ad ascoltarla e non molto lontano dalla nostra piccola Europa, i conflitti armati continuano a mietere vittime e per strada dominano l’odore del sangue e della polvere da sparo.

Tutto va male, quindi? Certamente no e se la guerra continua a essere una malattia a cui è difficile trovare rimedio, è anche vero che aumentano le organizzazioni e i tentativi individuali di trovare palliativi e – qualche volta – soluzioni al problema. Il pacifismo si è innovato e ha cambiato volto. Come sottolinea Carlo Gubitosa in un suo articolo, se da una parte le mobilitazioni collettive sono in diminuzione e le manifestazioni iniziano a essere recepite come sempre più obsolete, dall’altra è in aumento una nuova tendenza più concreta e più basata sui fatti. Il pacifismo perde lo smalto ideologico tipico degli -ismi e si trasforma in azione, individuale o di gruppo. Da parola, diventa fatto.

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In questo senso, viene spontaneo pensare ad Emergency, fiore all’occhiello del Bel Paese che in 21 anni di attività è riuscito a mettere radici anche altrove e attualmente gestisce strutture sanitarie in Afghanistan, Iraq, Repubblica Centroafricana, Sierra Leone, Sudan e Italia, con programmi portati a termine in diversi luoghi del pianeta, che vanno dal Ruanda alla Cambogia. L’aspetto più interessante, tuttavia, è che se da una parte il nome di Emergency e di Gino Strada sono conosciuti urbis et orbis, dall’altra sono in pochissimi a sapere cosa l’organizzazione effettivamente faccia. Lo racconta il video della nuova campagna di tesseramento ‘Oltre la Cura’, in cui la storia di Emergency si dilata nelle storie – tante e personalissime – di chi a Emergency deve la vita. C’è Nabil, per esempio, che dopo essere stato ferito da una mina antiuomo è diventato giardiniere e c’è Zumia, che studia per diventare ginecologa nel Centro di Maternità in Afghanistan.

Storie diverse, ma tutte con un denominatore comune: il significato di cura, da intendersi non nel ristretto senso medico. Curare non vuol dire solo medicare, ma anche costruire ospedali e strutture, reintegrare e restituire alla normalità chi con la guerra ha perduto quasi tutto. In una parola, creare nuove opportunità e una rete di percorsi a cui ognuno di noi ha – nel suo piccolo – la possibilità di partecipare. La pace è affare di tutti: la si costruisce insieme, mattone per mattone, anche con una semplice tessera.

Sponsorizzato da Emergency

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