Le RSA hanno contribuito a diffondere il coronavirus. Ecco cosa fare per ridurre il contagio

Del coronavirus e dei metodi di lockdown se ne è parlato molto. In genere dando la colpa gli altri Stati e al proprio per la cattiva gestione dell’emergenza. C’è, però, un punto su cui spesso non si riflette: il ruolo delle case di cura nella diffusione del coronavirus. Ecco alcuni suggerimenti che potranno esserci utili tanto oggi quanto domani per bloccare meglio la diffusione del coronavirus nelle RSA (acronimo di Residenze Sanitarie Assistenziali).

L’alternativa alla quarantena per il coronavirus

All’inizio della pandemia, ogni Stato ha cercato di usare diverse strategie per bloccare il coronavirus. Alcuni hanno deciso di utilizzare il lockdown, altri ancora il distanziamento fisico e l’immunità di gregge e altri ancora hanno utilizzato un metodo “ibrido”. A distanza di mesi dalla fase 1, cosa potremmo tenere a mente per il futuro per contrastare il contagio? Potrebbe essere utile trovare dei modi per limitare la libera diffusione del virus lì dove si sono sviluppati i maggiori focolai: nelle case di cura. Questo in quanto è proprio in questi luoghi che il virus ha colpito maggiormente.

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Il caso delle case di cura

I modelli matematici emergenti hanno mostrato che i focolai in questi luoghi hanno causato circa la metà di tutte le morti per coronavirus nel Vecchio Continente. Purtoppo, la maggior parte degli Stati europei colpiti dal virus non ha considerato questo aspetto. Il virus ha, così, potuto circolare indisturbato perché nessuno Stato è intervenuto in maniera rapida.

Col senno del poi, a livello generale si sarebbero potute evitare le visite dei parenti ai residenti nelle RSA, in modo da impedire la diffusione involtaria e incontrollata del virus. Un’altra soluzione da tenere a mente è la possibilità di usare macchine per poter svolgere test rapidi. In questo modo, è possibile rilevare in breve tempo l’eventuale presenza del coronavirus tra i pazienti e il personale medico-sanitario all’interno della struttura. In un secondo momento, è possibile decide di trasferire gli eventuali positivi in un’ala separata della residenza per curarli.

Il report del Ministero della Salute

Secondo il rapporto definitivo del Ministero della Salute sono stati 9.154 i deceduti all’interno delle case di cura. L’indagine, realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità, ha coinvolto 3.417 strutture su un totale di 4.629 RSA pubbliche e private. Di queste, hanno aderito 3.292. A ogni residenza l’ISS ha sottoposto un questionario di 29 domande per capire la situazione a partire dal 1° febbraio 2020 e le misure utilizzate per bloccare la diffusione del nuovo coronavirus.

Il report ha evidenziato alcune mancanze che potremmo tenere a mente per cercare di colmarle sia adesso che nel futuro. Prima fra tutte è stata rilevata la mancanza dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale). In secondo luogo, il rapporto ha mostrato la scarsità di un piano d’azione per limitare il contagio; la mancanza di farmaci; mancanza di personale sanitario; difficoltà nel trasferimento negli ospedali dei malati di coronavirus; difficoltà a isolare i positivi al coronavirus; e, infine, l’impossibilità di realizzare i tamponi.

Al contrario di ciò che è accaduto nel resto d’Europa, è da notare che tutte le case di cura intervistate (tranne una) a cui è stato sottoposto il questionario hanno affermato di aver vietato le visite di familiari e badanti, in accordo con il DPCM dell’8 marzo 2020.

Inoltre, il 59,4% delle strutture intervistate ha sostenuto di non aver ricevuto una consulenza apposita «per la gestione clinica e/o di prevenzione e controllo per COVID 19», come si legge all’interno del report.

Infine, c’è da sottolineare il fatto che nella maggior parte dei casi le RSA hanno messo a punto un programma di formazione dei medici e infermieri. Tale programma prevedeva esercitazioni pratiche sia per bloccare il coronavirus sia per utilizzare al meglio i DPI.

Conclusioni

In sostanza, è necessario tenere a mente sia ciò che ha funzionato che ciò che non ha funzionato nelle RSA colpite dal coronavirus. In questo modo, soprattutto in autunno – momento in cui è prevista una seconda ondata del virus – potremmo intervenire tempestivamente per spegnere sul nascere il focolaio nelle case di cura. Potremmo, così, fare tesoro degli errori passati, evitando una nuova quarantena per contrastare il coronavirus. Senza dimenticare il fatto che potremmo salvare innumerevoli vite umane.

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Dario Portaccio

Dario Portaccio

Laureato in Informazione, Editoria e Giornalismo, oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al percorso di formazione biennale dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, con cui sono diventato giornalista pubblicista.

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