A quasi 6 mesi dall’esplosione nel porto di Beirut, il Libano affronta la crisi ripartendo dalla ricostruzione e dalla resilienza dei suoi cittadini

Beirut è pronta per la ricostruzione del porto commerciale e lo fa puntando sull’identità nazionale. Le indagini sul disastro avvenuto il 4 agosto 2020, non hanno ancora portato a chiarimenti sulle cause e sui responsabili. Il 12 Gennaio 2021, la rete Al Jazeera ha riportato la notizia di un arresto che potrebbe dare inizio a una reazione a catena.
La capitale libanese è stata considerata fino agli anni 2000 la Montecarlo dell’Est. Una città vitale, culla della civiltà fenicia e dei naviganti. La sua pena del contrappasso è stata determinata dalla completa distruzione della parte nord-est della città, causata ad agosto dello scorso anno da una gigantesca deflagrazione che ha coinvolto 2.750 tonnellate di nitrato d’ammonio immagazzinato da anni, privo di controlli. I numeri di questo disastro sono stati altissimi: sono morte 204 persone, ferite circa 7mila e 300mila sono rimaste senza casa.

La resilienza di Beirut per salvare l’economia e superare la pandemia

In seguito alle grandi perdite economiche causate dall’onda d’urto della guerra in Siria, da una grave crisi di governo e dalla pandemia, il paese è stato messo in ginocchio. In questo contesto, la resilienza dei cittadini sta rappresentando un punto di forza importante per la capitale del Libano.
Adnan Nehme, studente libanese, trasferitosi a Padova per un master in economia e ora tornato in patria, racconta ciò che vede dalla sua finestra, con la voglia di ricostruire la città.
Ero in Italia quando è avvenuta la devastante esplosione. Ora sono a Beirut, affacciato alla mia finestra e vedo un grosso buco grigio che sostituisce quello che prima era il grande bacino, colorato dalle centinaia di container e navi mercantili. Le conseguenze sono state terribili: la perdita del porto commerciale, che è per il 70% fonte di reddito per il paese, ha causato un’immediata crisi economica, da aggiungere alla situazione aggravata dalla pandemia. In questi ultimi giorni il governo ha imposto delle misure rigide per contenere i casi e per garantire cure a tutti. La voglia di riscatto e di rinascita è talmente grande, che ognuno di noi ha cambiato le proprie abitudini; nonostante ciò le persone sono stanche e la disoccupazione sta aumentando.
Spero che il porto riprenda presto a funzionare: la disoccupazione è aumentata subito dopo la sua distruzione; ad oggi solo una piccola parte del porto di Beirut è in funzione: le merci sono state dirottate in altre aree libanesi e una piccola parte nel porto turco di Mersin, ma è necessario ottenere il prima possibile la ricostruzione del porto, per non dipendere da altri paesi“.

La ricostruzione come identità nazionale

La ricostruzione del porto di Beirut non è solo una necessità per ripristinare le attività commerciali libanesi, ma è un simbolo di identità nazionale. Il nuovo porto sarà lo specchio su cui si rifletterà il volto della città: una Beirut che, nonostante le proteste (mai ascoltate da un governo instabile) e la pandemia, trova sostegno nei cittadini stessi.
Gli abitanti di Beirut hanno dimostrato ancora una volta la loro resilienza” continua Adnan “Il 21 dicembre ho partecipato ad una commemorazione in onore delle vittime, liberando in cielo centinaia di lanterne, simbolo della rinascita. Molti giovani si stanno adoperando per proporre progetti per la ricostruzione del porto e si pensa che in un anno tornerà ad essere completamente funzionante. Personaggi del mondo dello spettacolo, come il cantante Mika, hanno attivato delle raccolte fondi; l’Unione Europea ha donato 30 miliardi di Euro; la Turchia si sta attivando per fornire manodopera e mezzi; varie associazioni, come AVSI, hanno assunto cittadini senza reddito per smaltire i detriti, riducendo anche i danni ambientali. A poco a poco l’area nord-est tornerà a pullulare di navi e merci. Il grande problema sono le famiglie che vivevano vicino alla zona colpita; molte di esse versavano già in una condizione di grande povertà e con l’arrivo dell’inverno avranno bisogno di ulteriori aiuti. Le Nazioni Unite  per ora hanno mantenuto le promesse, garantendo una casa a coloro che non la possiedono più entro la fine del 2021. Il futuro di Beirut è luminoso e diventeremo un esempio per tutti i paesi del mondo.”
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Erika Mattio

Erika Mattio

Erika Mattio, giornalista, autrice, archeologa, antropologa, viaggiatrice, dottoranda in Antropologia fra Madrid e Venezia. Ho studiato a Istanbul e Mashhad per poi intraprendere spedizioni in Medio Oriente e in Africa. Scrivo per BuoneNotizie.it e sono diventata pubblicista grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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