Da qualche settimana il governo spagnolo, guidato da Pedro Sanchez, sta valutando una nuova rotta per gestire i casi Covid. I dati mostrano che l’aumento dei casi Omicron sia evidente, ma i ricoveri nelle terapie intensive e i decessi sono diminuiti: questo rapporto inversamente proporzionale ha portato a nuove proposte da parte del Mistero della Salute spagnolo. Il piano punta a considerare il Covid una malattia endemica, alla stregua dell’influenza.

La Spagna, in particolare le capitali economiche Madrid e Barcellona, sono state messe a dura prova lo scorso anno, con chiusure e zone rosse che hanno bloccato il Paese sino all’inizio dell’estate. Ad oggi, i lavori ad intermittenza causati dalle quarantene stanno compromettendo il diritto al lavoro. Inoltre ospedali e cliniche per i test antigeni o PCR sono intasati per via del numero esorbitate di tamponi richiesti. Per i nostri microfoni sono stati intervistati a Madrid Rubén Fortuna, infermiere di Malaga, Anita Molina, farmacista di Madrid e Luca Vacchelli, dottorando di Napoli presso l’università Complutense.

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I troppi tamponi che bloccano il lavoro in Spagna

Sono infermiere a Malaga – si presenta Rubén – lo scorso anno ho lavorato ininterrottamente nelle terapie intensive di Spagna e Catalunia e sono assolutamente consapevole della brutalità del Covid. Oggi però i dati sono migliori rispetto a quelli di gennaio 2021. Innanzitutto abbiamo i vaccini, che limitano i sintomi e le conseguenze del Covid; in più la nuova variante è sì contagiosa, ma molto più semplice da gestire per un malato. Bisogna quindi analizzare i sintomi sentinella, non quelli ipotizzati, per curare e dare posto a chi ne ha bisogno.

Inoltre credo che sia necessario ottimizzare l’utilizzo dei tamponi: la settimana prima delle vacanze natalizie, alcuni Paesi europei, fra cui l’Italia, hanno reso obbligatorio il tampone antigenico per i turisti che rientravano a casa. Questo ha creato il caos in Spagna: i tamponi, che già erano introvabili perché in molti facevano scorte per poter fare pranzi di Natale in tranquillità, non erano più reperibili. I laboratori si sono intasati a causa delle troppa richiesta e questo ha portato lentezza nel dare i risultati sia ai turisti che agli spagnoli; si sono create code interminabili e neppure gli aeroporti erano preparati. 

Non solo: ormai ogni cittadino spagnolo, mediamente, fa un tampone ogni due giorni, per essere sereno; questo rallenta il lavoro degli operatori sanitari che dovrebbero occuparsi solo di chi è positivo, e non di chi vuole essere tranquillo per poter fare una serata con gli amici. La trafila del riconoscimento di un caso che risulta positiva al Covid poi, è rallentata: prima che venga dato l’esito si deve attendere la disponibilità del laboratorio e così facendo molte aziende devono pagare non solo i giorni di malattia, ma anche il periodo di attesa, incrementato dalle richiesta di tampone non necessario”.

Il Covid trattato come un’influenza

“Lavoro in una farmacia del quartiere Qintana – racconta Anita – la mia zona è periferica quindi lavoro principalmente con spagnoli. Mi occupo dei test Covid: per me il periodo natalizio è stato un vero incubo. La mia media era un tampone ogni 10 minuti, senza pause, per poter gestire la lunga coda che si formava davanti alla farmacia e limitare gli assembramenti.

Sono assolutamente a favore dei tamponi, ma deve esserci un criterio nella loro richiesta. Troppe persone arrivano perché hanno trascorso una serata potenzialmente a rischio, o sono stati a contatto con una persona, che a sua volta era in contatto con un positivo.  Il Covid è si un nemico da temere, ma l’economia e la quotidianità devono poter andare avanti. Secondo me il modo migliore è fare un autoisolamento e, solo se in tre giorni compaiono sintomi, allora attivarsi con un tampone. E poi sempre il buon senso: abbiamo tutti voglia di normalità, ma in questo periodo bisogna cercare di non perdere l’abitudine dell’uso della mascherina e del distanziamento sociale.

La proposta del ministero della salute di Spagna è quindi quella di intervenire quando compaiono sintomi sentinella (tosse, febbre, raffreddore) e di trattare il Covid come una malattia respiratoria. Rispetto alla normale influenza abbiamo un’arma in più: il costante utilizzo delle mascherine. Lo si è visto anche nei ragazzi che hanno ripreso le scuole: nonostante i contagi, i bambini si sono immunizzati; i vaccini e le regole anti Covid hanno garantito a tutti il ritorno alla normalità in poco tempo. La proposta del governo spagnolo è quindi anche un modo per cercare di far ripartire l’economia del Paese“.

Il nuovo piano anti Covid per la ripresa dell’economia della Spagna

“Sono dottorando in economia a Madrid – spiega Luca – e come ogni studente fuori sede sono tornato a casa per Natale. Arrivato in Italia sono rimasto angosciato da quanti amici fossero in quarantena, nonostante il vaccino. Molti di essi però, non avevano sintomi e alcuni avevano dei fastidi lievi che si è scoperto non essere Covid. In molti sono rimasti a casa dal lavoro e questo mi ha fatto comprendere il senso del piano che sta intraprendendo la Spagna. Il Covid ha messo in ginocchio la Spagna: molte aziende hanno chiuso, c’è un grande tasso di disoccupazione, ma è anche vero che la quarantena blocca completamente il lavoratore e, di conseguenza, l’azienda e il Paese.

Al mio ritorno in Spagna molti voli erano stati cancellati a causa della messa in quarantena dello staff di volo. Questo è il problema: se una persona è positiva, le attuali norme costringono tutti i contatti a rimanere in isolamento, e quindi l’intera macchina da lavoro si blocca. Come suggerito dal ministro Sanchez, il Covid è una malattia con la quale dovremmo convivere ancora per un tempo indefinito, quindi, con l’utilizzo dei mezzi che abbiamo a disposizione, solo in caso di reali sintomatologie il lavoratore deve stare in quarantena.

Questa proposta darebbe modo di riprendere in maniera lenta, ma meno frammentaria il ritorno ad una ripresa economica. La proposta è quindi valida a parer mio, anche per le famiglie dei bambini che vanno a scuola. Se i bambini sono stati in contatto con dei casi positivi, ma non presentano sintomi, i genitori possono continuare a lavorare, senza creare un gap all’interno del luogo di lavoro“.

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Erika Mattio

Erika Mattio

Erika Mattio, giornalista, autrice, archeologa, antropologa, viaggiatrice, dottoranda in Antropologia fra Madrid e Venezia. Ho studiato a Istanbul e Mashhad per poi intraprendere spedizioni in Medio Oriente e in Africa. Scrivo per BuoneNotizie.it e sono diventata pubblicista grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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