L’attuale scenario europeo richiede che la soluzione per il conflitto in Ucraina sia cercata attraverso l’individuazione di una terza via rispetto alla possibilità della resa o del sostegno militare. Come spesso accade quando ci si trova in situazioni di stallo, come quella che interessa la guerra in Ucraina, è necessario tirarsi fuori dalla dialettica della polarizzazione, che oppone due punti di vista antitetici.

Diverse scelte per risolvere il conflitto in Ucraina

Lo scontro che dal 24 febbraio imperversa sul territorio europeo ha scatenato diverse analisi e posizioni contrastanti. Benché sia difficile identificare quale sia la strada migliore per risolvere il conflitto in Ucraina nonostante gli strumenti del diritto internazionale, allo stato attuale, si possono definire due direzioni precise. C’è chi sostiene la convenienza di una resa e chi invece ritiene doveroso supportare la resistenza del popolo ucraino attraverso l’invio di armi.

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I sondaggi inerenti alle possibili vie per risolvere il conflitto sono contraddittori: da quello condotto da Dire-Technè, realizzato il 18 marzo, emerge che il 40% degli intervistati è a favore dell’invio di armi a sostegno della resistenza ucraina. Diversi, invece, i risultati rilevati dalla ricerca di Emg svolta per Agorà, secondo la quale il 55% è contrario. È quanto mai problematico stabilire quale sia la strada da intraprendere.

La reazione ucraina all’aggressione russa ha sollevato un’ondata di solidarietà che ha raccolto l’opinione pubblica attorno alle sorti di questa nazione perché, come sostiene Alessandro Amadori, vicedirettore dell’Istituto Piepoli, “siamo un popolo empatico, che percepisce la sofferenza, la sente propria e si attiva per quanto può”.

L’invio di armi, se da un lato è un’azione motivata dall’incredibile ingiustizia subita, implica di fatto un prolungamento degli scontri. Questo dilemma riecheggia nelle parole del fisico e pensatore Carlo Rovelli che sottolinea come “dare più importanza alla logica dello scontro che non alla cessazione delle ostilità implica aumentare, e non diminuire le sofferenze dell’Ucraina”. Per altri l’invio di armi è un imperativo morale e una necessità. A questo proposito, il presidente Draghi già il 1° marzo affermava che “è necessario che il Governo democraticamente eletto sia in grado di resistere all’invasione e difendere l’indipendenza del Paese. A un popolo che si difende da un attacco militare e chiede aiuto alle nostre democrazie, non è possibile rispondere soltanto con incoraggiamenti e atti di deterrenza. Questa è la posizione italiana, dell’Unione Europea, dei nostri alleati.”

Tra chi, invece, ritiene che la soluzione al conflitto non possa essere trovata con le armi, è diffusa la preoccupazione che si verifichi un’escalation del conflitto, come afferma Yuri Sheliazhenko, presidente del Movimento Pacifista Ucraino, che in un’intervista in riferimento all’invio di armi, apostrofa: “Follia. È alimentare l’escalation e lo spargimento di sangue. I media internazionali sono manipolati dalla macchina da guerra. La guerra era evitabile, è stata una scelta”. A questo si aggiungono convinzioni di tipo etico secondo le quali nessuna guerra può trovare in alcun modo legittimazione, affermazione che trova una sintesi nelle parole di Papa Bergoglio: “Nessuna guerra è giusta, l’unica cosa giusta è la pace”. 

La terza via della non violenza attiva

Una terza via possibile per la risolvere il conflitto in Ucraina è quella che viene definita nell’ambito dai sostenitori della non violenza attiva, un metodo di azione che coniuga la coerenza interna del pensare, sentire e agire nella stessa direzione, con la coerenza sociale di trattare gli altri nel modo in cui si vorrebbe essere trattati. Percorrere questa strada vuol dire adottare strategie come quelle illustrate dal presidente del Movimento Non Violento, Mao Valpiana, in un suo articolo su IlFattoQuotidiano.it: “È urgente anche sostenere, finanziare, rafforzare il crescente movimento degli obiettori di coscienza russi e delle mamme dei soldati che si oppongono al richiamo dei ragazzi di leva, per indebolire Putin sul fronte interno”.

Bisogna agire in maniera trasversale su una serie di condizioni che incidono sulle sorti della guerra. Sempre Valpiana illustra una serie di possibilità da valutare: le sanzioni e i negoziati devono essere accompagnati dalla de-escalation militare e le politiche estere dovrebbero convergere sulla formazione di una polizia internazionale, piuttosto che aumentare le spese militari dei singoli stati. Inoltre bisogna considerare che ad un reale incontro tra le parti si può pervenire solo trovando il coraggio di fare un passo indietro.

A questo proposito anche la Carta delle Nazioni Unite detta una serie di disposizioni di natura vincolante, dirette a regolare l’azione degli Stati nel caso in cui essi siano coinvolti in una controversia. Lo statuto, nel suo art. 2.3, afferma che:

“I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace, la sicurezza e la giustizia internazionale non siano messe in pericolo”

Non è facile dire chi, per risolvere il conflitto in Ucraina, debba essere il primo a fare un passo che vada nella direzione così definita, ma occorre che sullo sfondo della guerra in corso restino anche le argomentazioni di chi, ragionando a lungo termine, coglie nella situazione presente le falle delle politiche passate.

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Giacomo Capodivento

Giacomo Capodivento

Insegno religione dal 2012. Laureato in Comunicazione e Marketing e studente in Comunicazione e innovazione digitale. Per me occuparmi di comunicazione è una questione politica. Oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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