Dallo scoppio della guerra in Ucraina, i media italiani stanno parlando poco della situazione in Afghanistan. Buone Notizie ha intervistato Barbara Schiavulli, inviata di guerra e direttrice di Radio Bullets. Barbara da ventisei anni parla dei fronti caldi del nostro tempo, come la Palestina, lo Yemen e dal 2001 racconta l’Afghanistan.

Barbara aveva già spiegato a Buone Notizie quale può essere il modo corretto di raccontare una guerra. Qui le abbiamo chiesto cosa sta succedendo in Afghanistan. Secondo la sua opinione, “se non si riaccendono i riflettori su questo Paese e se l’Europa non comincia a condannare i talebani la situazione non potrà che evolvere in peggio. Sono le opinioni pubbliche dei singoli Paesi occidentali a dover fare pressione perché afghani e afghane vengano aiutati“.

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Qual è la situazione in Afghanistan?

La situazione è tragica da molti punti di vista. Dal punto di vista economico da agosto, quando i talebani hanno preso il potere, 900.000 persone, di cui la maggior parte donne, hanno perso il lavoro e il 97% della popolazione è al di sotto della soglia di povertà. Il World Food program, il programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, da 18 milioni di pacchi alimentari che preparava adesso ne fa circa 24 milioni per una popolazione di 34 milioni di persone. Le banche ancora funzionano, ma con pochi fondi. Di solito l’Occidente dava all’Afghanistan degli aiuti economici che rappresentavano più o meno il 60% del budget finanziario del Paese. Oggi questi soldi arrivano, ma non sono sufficienti. Non ci sono medicine e la maggior parte dei centri per la disintossicazione dalla droga sono chiusi.

Poi c’è la crisi politica, perché i talebani sono un gruppo insurrezionale che non riesce a gestire un intero Paese, soprattutto senza i soldi per farlo. L’Afghanistan vive anche una crisi sociale in quanto i talebani hanno imposto l’apartheid di genere. Infine c’è la crisi climatica: da giorni l’Afghanistan è alle prese con forti piogge e inondazioni che hanno distrutto centinaia di case e danneggiato i raccolti. 

Secondo l’ultimo decreto le donne afghane devono coprirsi integralmente. Qual è la situazione delle donne in Afghanistan? E cosa rischiano se contravvengono agli obblighi imposti?

Oggi le donne in Afghanistan possono uscire di casa solo se hanno una buona ragione, non possono guidare e ovviamente non possono viaggiare. Devono indossare il burka che lascia fuori solo gli occhi e non possono andare a scuola oltre i 12 anni. Da quando i talebani hanno preso il potere non possono lavorare, ma molte donne sono vedove con figli quindi non hanno nessun modo per mantenerli. Ricevo continui messaggi di ragazze che vogliono “darsi fuoco”. Le ragazze hanno vissuto gli ultimi vent’anni in Afghanistan in una complessa libertà, ma prima dei talebani studiavano, sognavano e pensavano che comunque qualcosa potesse accadere, adesso invece si sentono tradite e abbandonate dall’Occidente. Oggi per le donne la situazione in Afghanistan è molto difficile, ma cercano di resistere.

Se contravvengono agli obblighi la punizione eventuale non viene data tanto alle donne, ma soprattutto ai loro uomini, perché non hanno saputo gestirle e controllarle. Si rischiano bastonate, la prigione o una multa, in un Paese dove non ci sono i soldi per pagarla.

È vero che il regime dei talebani non è affatto stabile. Ci sono altri centri di potere all’interno dell’Afghanistan?

Intanto i talebani faticano a tenere il potere perché sono divisi all’interno. Ci sono quelli della vecchia tradizione, quelli degli anni ’90 e ci sono quelli più moderati. Queste lotte interne si vedono anche dagli annunci. Per esempio, un giorno dicono che le scuole per le ragazze riapriranno, il giorno dopo dicono di no, quindi si contraddicono a vicenda. C’è poi una resistenza nel Panshir. Qui combattono le forze anti-talebane, per lo più di etnia tagika, finanziate dal Pakistan. Questa resistenza è molto isolata ed è difficile avere notizie perché ognuno fa la sua propaganda e quindi non si sa in realtà cosa stia succedendo. E poi c’è l’Isis, in cui si sono riversati molti ex combattenti delle forze speciali afghane e che quasi ogni giorno compie attentati. 

Quali richieste ha il popolo afghano per i Paesi occidentali? Quale tipo di aiuti sarebbe efficace per migliorare le condizioni della popolazione?

La popolazione, data la situazione in Afghanistan, vorrebbe lasciare il Paese. Per gli uomini è più facile scappare pagando i trafficanti, ma per le donne è quasi impossibile. Vorrebbero quindi corridoi umanitari per andare via in sicurezza. Purtroppo nessuno li sta ascoltando, per questo c’è bisogno di sapere di più, che in Occidente si racconti cosa sta accadendo. E poi ci vorrebbero trattative serie con i talebani, perché usano la gente per ottenere aiuti che non avvantaggiano la popolazione. 

Le organizzazioni non governative (ong) internazionali riescono ancora a operare in Afghanistan?

Le ong riescono ancora a lavorare nel Paese e alcune ong sanitarie non se ne sono mai andate, come Medici senza Frontiere, la Croce Rossa internazionale, Emergency. Anche le Nazioni Unite e le agenzie umanitarie sono rimaste, come il World Food Program e l’Unicef, mentre quelle più politiche sono uscite. Ma queste organizzazioni operano senza soldi perché non si riescono a farli arrivare.

Nove onlus, una organizzazione non governativa italiana,  con la presa del potere da parte dei talebani aveva evacuato tutto il personale, ma ora sono tornati. Prima del regime avevano programmi di emancipazione per le donne, invece adesso hanno programmi di assistenza alle famiglie e continuano a fare corsi per insegnare alle ragazze soprattutto nelle zone dove i talebani non hanno un forte controllo. Quindi si deve un po’ raggirare il sistema facendo attenzione che nessuno si arrabbi. Le organizzazioni umanitarie che operano in Afghanistan parlano con i talebani perché devono comunque entrare nel sistema per riuscire a gestire la situazione.

C’è resistenza e ribellione?

C’è un movimento all’estero legato alla diaspora hazara, il gruppo etnico perseguitato dai talebani dal 2001. Gli Hazari che sono riusciti a fuggire dal Paese stanno cercando di capire cosa fare. Poi ci sono le donne e soprattutto i giovani che con internet fanno conoscere all’esterno la situazione in Afghanistan. Molti afghani scrivono a noi giornalisti. Le stesse giornaliste afghane che oggi non possono lavorare raccontano a noi quello che sta accadendo, prendono in prestito la nostra voce perché non possono usare la loro.

Sicuramente le donne si organizzeranno in scuole clandestine come è successo negli anni ’90. So che stanno organizzando anche delle biblioteche clandestine. Dopo la decisione di introdurre il burka, le donne hanno manifestato a Kabul. L’ultima volta che sono stata in Afghanistan a gennaio ho conosciuto una donna che aveva un centro di riabilitazione. Da quando i talebani hanno vietato alle donne di lavorare, ha intestato la sua attività a un uomo e ha continuato a fare quello che faceva prima. 

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Aurora Amendolagine

Aurora Amendolagine

Aurora Amendolagine, laureata in Scienze politiche e Relazioni internazionali con un Master in Comunicazione istituzionale. Lavoro in Rai da diversi anni. Giornalista pubblicista e tutor del laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista

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