La Prima Ministra scozzese Nicolas Sturgeon il 14 giugno ha annunciato di voler riproporre un nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia dalla Gran Bretagna per l’anno 2023 dichiarando l’intenzione di farla entrare in Europa.

Secondo la Premier scozzese “dopo Brexit, Covid e Boris Johnson è tempo di organizzare una differente e migliore visione” per il Paese. Durante il discorso di presentazione del referendum, la Sturgeon ha aggiunto inoltre che “il governo britannico non ha alcun rispetto per la democrazia”, che è tempo di pensare a come rendere la Scozia più benestante e più giusta e che questo può accadere solo se si entra in Europa.

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Perché un nuovo referendum per l’indipendenza scozzese

Dopo il referendum perso nel 2014 in una Gran Bretagna ancora europea, riproporne un altro è ritenuta strada difficilmente percorribile per l’eventuale possibilità che sia bloccato da parte delle istituzioni britanniche. È convinzione della Premier Sturgeon, però, che gli scozzesi non debbano rimanere legati all’economia del Regno Unito, perché questo relega la Scozia in una condizione di subalternità socio-economica e a un impoverimento progressivo perché fuori dall’Unione Europea.

Durante la presentazione della proposta referendaria, la Sturgeon ha fatto riferimento ai livelli di vita superiori di altri Stati in Europa paragonabili alla Scozia per dimensioni e popolazione, ma molto meno ricchi di risorse.

La Brexit, com’era prevedibile, ha evidenziato nuovamente le dimensioni centrifughe dal Regno Unito e le sue conflittualità interne. Significativa la questione delle dogane in Irlanda del Nord: gli irrigidimenti doganali sul transito di beni e persone al confine tra Irlanda (Europa) ed Ulster (UK), rallentando ulteriormente l’economia nel nord britannico, producono conflittualità che per Londra possono rappresentare un problema di ben più ampia portata. Tali conflittualità, infatti, contribuiscono a rinfocolare le istanze autonomistiche storicamente presenti in Gran Bretagna.

Le istanze indipendentistiche scozzesi e nord-irlandesi, inoltre, sono supportate da governi con forti maggioranze autonomiste appena elette (SNP in Scozia e Sinn Fein nell’Ulster) che si confrontano con una controparte, il governo centrale britannico di Johnson, di stampo conservatore e questo, data la difficoltà di dialogo tra le parti, aumenta il livello dello scontro politico e istituzionale.

L’atteggiamento del governo britannico

Il confronto scozzese con il governo britannico per adesso è attenuato dal conflitto ucraino, ma potrebbe trasformarsi in conflitto sociale, perché alle insofferenze nazionalistiche si somma una accentuazione della crisi economica. La risposta del governo britannico alle aspirazioni referendarie scozzesi, infatti, è sintetizzabile con la richiesta di mantenere compattezza. La reazione di Boris Johnson lo dimostra: “non è questo il momento […] siamo pronti a collaborare per affrontare il costo globale della vita” degli scozzesi.

Lo dimostra anche il monito a pensare alla difesa della Gran Bretagna sul territorio europeo proveniente dal Capo di Stato Maggiore britannico e inviato qualche ora dopo la conferenza della Sturgeon tramite lettera ai soldati dell’esercito di Sua Maestà (quindi anche scozzesi) che afferma: “dobbiamo preparare i nostri soldati a combattere i russi in Europa”.

La Democrazia Europea come modello della Scozia

Il riferimento della Sturgeon alla necessità di maggiore democrazia non è casuale, fa leva infatti sul Regolamento europeo per le adesioni di altri Stati all’Unione secondo il quale “qualsiasi Paese europeo può candidarsi all’adesione a condizione che rispetti i valori democratici dell’Ue e si impegni a promuoverli”.

L’Unione Europea, come progetto politico, sociale ed economico dimostra comunque di essere sempre più attrattiva seppur dal lungo e difficile accesso. L’Ucraina, il cui conflitto con la Russia è in parte derivato dalla volontà di Kiev di entrare nella sfera politica delle democrazie europee, ne rappresenta forse il caso più emblematico.

L’Europa continua ad attrarre

Nonostante la Brexit, l’Europa politica conta 27 Stati e può confermare al momento la candidatura formale di 7 ulteriori Stati: è notizia recentissima lo status di candidato ufficiale di Ucraina e Moldavia che si aggiunge a quelli di Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Turchia. Con l’intensificarsi del conflitto ucraino, inoltre, è arrivato l’interessamento anche della Georgia che si somma a quelli di Bosnia-Erzegovina e Kosovo.

La forza attrattiva dell’Unione Europea non è dimostrata solo dal numero delle richieste di adesione pervenute, ma anche dalle spinte indipendentistiche esterne all’Europa dei Paesi che vogliono, oltre alla propria autodeterminazione, aderire alla democrazia europea come Scozia, Irlanda del Nord e soprattutto Ucraina.

Danno forza all’Europa anche quelle realtà che ne fanno già parte anche se non come Stati e che frenano eventuali processi d’indipendenza per non mettere a rischio il progetto di un’Europa Unita e la loro appartenenza ad esso.

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Pasquale De Salve

Pasquale De Salve

Sono laureato in Filosofia e scrivo per passione. Qui scrivo di ambiente, politica, diritti e qualche volta anche di altro. Cerco di intendere il mondo per quello che è, ma di utilizzare quelle poche parole che ho a disposizione perché possa migliorare. Il suo cambiamento, però, dipende dallo sforzo di ognuno di noi!

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