A causa di alcuni avvenimenti interni che ne stanno minando la stabilità interna, il Kosovo è tornato a occupare i titoli dei principali quotidiani internazionali.

L’ultimo, in ordine di tempo, riguarda le proteste, scoppiate in quattro città a maggioranza serba, per impedire l’insediamento di quattro neo-eletti sindaci appartenenti alla comunità albanese. In particolare, nella città di Zvecan, i tumulti sono culminati in uno scontro tra i soldati della missione NATO KFOR, cominciata nel 1999, e i manifestanti della comunità serba. Più di trenta militari, tra cui quattordici alpini italiani, sono rimasti feriti.

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Ma perché queste proteste? Cosa sta succedendo in Kosovo?

Un po’di storia del Kosovo

Il Kosovo è uno territorio autogovernato da una Repubblica parlamentare sotto il protettorato delle Nazioni Unite. Sebbene nel 2008 abbia proclamato l’indipendenza e la maggioranza della popolazione, oltre il 92%, sia di origine albanese, è rivendicato dalla Serbia, che lo considera come una provincia sottratta illegalmente al proprio territorio.

La storia del Paese non è univoca, a seconda che la si legga attraverso la storiografia serba o quella albanese, che vedono nel Kosovo la culla delle proprie origini religiose e culturali.

A partire dal 1989 l’autonomia del Kosovo, garantita da Tito nei decenni precedenti, venne sospesa: Belgrado cominciò a privare gli albanesi-kosovari non solo della loro autonomia, ma anche di molti diritti. Perquisizioni, arresti di massa e torture divennero normalità.

Nel 1995 il governo serbo diede il via a una pulizia etnica per eradicare la popolazione di origine albanese, che in tutta risposta adottò la lotta armata, guidata dall’Esercito di Liberazione del Kosovo. Più di undicimila civili, tra albanesi e serbi, persero la vita. Edifici e infrastrutture vennero distrutte.

Contravvenendo alla Carta dell’ONU, la NATO, decise di intervenire per fermare le violenze e proteggere la popolazione albanese. Con la missione Allied Force bombardò per tre mesi la Serbia di Milošević, che, stremata, accettò di ritirare ogni forza armata dal Kosovo e di sedersi al tavolo delle trattative.

Nel 1999, con la risoluzione 12/44, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si impegnò a gestire direttamente il Kosovo e a “riaffermare la sovranità e l’integrità territoriale” degli Stati della regione. Nel 2004, quindi, si aprirono i negoziati per decidere il futuro del Paese: la Serbia offriva un’ampia autonomia, il Kosovo premeva per l’indipendenza, che venne autoproclamata quattro anni dopo.

Ad oggi, nonostante il riconoscimento di numerosi membri dell’ONU, Serbia, Russia, Cina e cinque Paesi dell’UE non riconoscono l’indipendenza kosovara.

Cosa sta succedendo in Kosovo

Come riporta Osservatorio Balcani Caucaso-Transeuropa, ci sono varie ragioni che contribuiscono a rendere il Kosovo una regione problematica.

Da una parte permane il problema dell’indipendenza, questione che Belgrado non riesce a superare, nonostante i rinnovati sforzi della diplomazia europea.

Dall’altro, la popolazione serba, che vive nel nord del Paese, sembra poco incline ad integrarsi pienamente nella struttura statale del Kosovo indipendente, complice una condotta non sempre accomodante da parte del governo di Pristina e la presenza ingombrante del governo di Belgrado, che spesso fomenta la diffidenza della popolazione serba nei confronti di quella albanese.

A questo proposito ci sono alcuni avvenimenti esemplificativi che hanno avuto luogo negli ultimi mesi. Le elezioni anticipate indette nei quattro comuni a maggioranza serba, che hanno dato il via agli scontri con i soldati della KFOR, erano state organizzate a causa delle dimissioni dei politici e dei funzionari serbi da tutte le istituzioni kosovare, nel novembre 2022.  Queste volevano essere un segnale di protesta contro la decisione di Pristina di introdurre l’obbligo di sostituire le targhe automobilistiche rilasciate dalla Serbia con quelle kosovare. Per il Kosovo rappresentava un atto di sovranità territoriale, per la popolazione serba un tentativo di cancellare la loro identità.

Per placare le tensioni, Washington e Bruxelles si sono impegnate nel favorire un’intesa: il Kosovo avrebbe mantenuto le targhe esistenti, la Serbia non ne avrebbe emesse di nuove. Un accordo fragile, che però, non ha impedito l’insorgere di nuove proteste.

A dicembre 2022, per esempio, manifestanti serbo-kosovari sono scesi in strada e hanno bloccato la circolazione nel nord del Paese per impedire alle forze speciali di Pristina di dispiegarsi e condurre arresti e operazioni di presidio territoriale. 

Nelle ultime settimane la diplomazia europea ha chiesto a Kosovo e Serbia di agire immediatamente per ridurre le tensioni e di indire nuove elezioni comunali.

Come riporta East Journal, però, la Lista Srpska, una gruppo politico che rappresenta i serbi del Kosovo, ha risposto che il boicottaggio delle elezioni terminerà solo in cambio di due condizioni, il ritiro delle forze speciali kosovare dal nord del Paese e la garanzia di maggior autonomia attraverso la formazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serbe in Kosovo (ASM). Il negoziato resta lungo e difficile. 

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Marzio Fait

Marzio Fait

Marzio Fait. Svolgo un progetto di servizio civile presso il Forum trentino per la pace. Ho partecipato come observer alla COP 27 e alla COP28. Mi occupo di attualità, di diritti umani e di giustizia climatica. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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