Il settore dei locali notturni è uno dei più danneggiati dall’epidemia. Da Olanda e Spagna potrebbero arrivare le soluzioni ? Lo abbiamo chiesto al gestore di un locale.

La pandemia non ha messo in ginocchio solo teatri e cinema. Il settore dell’intrattenimento tout court è stato profondamente danneggiato: i locali notturni non riaprono dalla scorsa estate, che ha visto comunque pesanti restrizioni al divertimento. D’altro canto, vedere un concerto dal vivo o ballare in discoteca rispettando il distanziamento sociale è una prospettiva che non esalta nessuno. Alcuni paesi come Olanda e Spagna stanno attuando delle sperimentazioni per studiare una possibile riapertura in sicurezza dei concerti e degli eventi nei locali notturni.

Due settimane fa, a Biddinghuizen, vicino ad Amsterdam, 1500 persone si sono trovate a ballare in una discoteca che, in condizioni pre pandemia, poteva ospitarne più del doppio. Poche mascherine, zero distanziamento sociale, tanti balli e bevute: una serata quasi normale, insomma. I partecipanti all’esperimento sono stati sottoposti a tampone nelle 48 ore precedenti e in 26 non sono stati ammessi perché positivi. Questo fine settimana saranno nuovamente testati per verificare l’insorgenza di infezioni: si attendono i risultati dell’esperimento entro fine mese.

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A Barcellona, in 5000 hanno assistito al concerto del gruppo Love of Lesbian, con mascherine ma senza distanziamento sociale. Anche nel caso spagnolo l’esperimento è stato supervisionato dalle autorità sanitarie, che hanno monitorato lo svolgimento dell’evento preservando la “bolla“.

L’idea è combinare tamponi e tracciamento per consentire ai locali di riaprire in sicurezza, senza restrizioni e riabbracciando una normalità che, per i frequentatori dei locali notturni, è ormai un lontano ricordo. L’esempio spagnolo e olandese è applicabile anche in Italia? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Lorini, che dal 2010 gestisce a Padova il Grind House Club, locale di musica underground e aggregatore culturale di riferimento per il Nord Italia.

Cosa ne pensi degli esperimenti in Olanda e Spagna? Sarebbe fattibile anche da noi?

I concerti che citi sono eventi organizzati da realtà con grandi fatturati, dove organizzare un punto tamponi prima di entrare al concerto non rappresenta un grande problema. In Italia, ai live di Ligabue o Vasco Rossi, forse, si riuscirebbe a fare. Nella miriade di piccoli locali che popolano le città italiane credo sia infattibile, per costi e capacità organizzativa.

Noi del Grind House Club ci siamo informati per sviluppare un protocollo che prevedeva un sistema di aerazione, rifornimento di DPI ai clienti, igienizzazione ogni 2/3 ore, punto tamponi in loco (costo: circa 80 euro a tampone) e tracciamento. Oltre ai costi astronomici, insorge il problema della privacy: inoltre molti nostri clienti, interpellati in un sondaggio, si sono detti non particolarmente entusiasti di sottoporsi a questa trafila. Onestamente non capisco come si possano aspettare di assistere nuovamente a un concerto, con queste premesse.

Per quanto riguarda il settore dei locali notturni, ritieni che la chiusura totale fosse inevitabile o avrebbero potuto esserci modi alternativi per tenere aperto anche durante la fase più critica dell’epidemia?

I locali notturni sono i primi a essere sacrificati, siano essi il live club, la discoteca o il pub. Si poteva tenere aperto con una diffusione contenuta del Covid, come l’estate scorsa, ma con picchi di 15/20mila contagi e 400 morti al giorno, non sarebbe stato possibile. Certo, un concerto tutti seduti, distanziati e con la mascherina lo puoi sorvegliare bene. Ma come per le scuole, il problema non era il live in sé, ma il comportamento delle persone al di fuori del locale. Se nel parcheggio la gente si passa le birre, abbassa la mascherina e fa come se niente fosse, siamo punto e a capo.

Quando pensi potrà esserci una ripartenza per i locali notturni, e come cambierà il settore post pandemia?

Con il progredire della campagna vaccinale, credo sinceramente che con l’autunno/inverno prossimo si potrà ricominciare a parlare di socialità. Certamente il modello club pre Covid, per me, dovrebbe essere superato e bisognerebbe trovare una nuova forma di aggregazione che vada al di là dell’evento del weekend. Ci saranno meno soldi in giro, pertanto bisognerà sviluppare una sinergia tra chi apre un club e chi lo frequenta. A fronte di prezzi più abbordabili e popolari il cliente, per quello che potrà, dovrà supportare in maniera più attiva il luogo del suo divertimento.

Cosa auspichi che il governo faccia per il settore dei locali notturni?

Il governo non farà nulla per i piccoli club che propongono un intrattenimento diverso o alternativo.
In Italia la cultura è divisa in due grandi famiglie: quella definita “alta” dei grandi teatri e quella sacrificabile di chi , invece, dà spazio a realtà musicali non commerciali.

Le iniziative come “Ultimo concerto” e gli artisti che facevano online gratis quello che fino a prima della pandemia facevano dietro compenso sono state, a mio avviso, un grossolano errore. Il settore doveva fare una serrata imponente e durissima, nessuno doveva più produrre nulla, tutto bloccato per mesi. Solo così, forse, le autorità avrebbero recepito il messaggio. Sfortunatamente nel nostro paese la cultura viene ancora associata a un hobby più che a un lavoro.

Secondo te, oltre ai cambiamenti di natura economica nel post pandemia, ci saranno anche cambiamenti “culturali” nel settore? Come potrebbe cambiare la mentalità dei gestori e del pubblico?

Il post pandemia sarà una bella sfida. L’individualismo proprio di questa fase storica ha mostrato ogni limite possibile e immaginabile. Solo collettivamente si può tornare, a mio avviso, a una socialità diversa e più sana. Bisognerebbe smettere con la combinazione weekend-sballo e far sì che i luoghi di intrattenimento abbiano anche momenti ed eventi di confronto più propriamente culturali.

Ogni cambiamento e ogni nuova espressione artistica nasce solo dove c’è pensiero critico e non dove c’è quel divertimento di plastica tutto uguale che imperversava prima della pandemia.

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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