J.R.R. Tolkien nasceva il 3 gennaio del 1892. Fu scrittore, filologo e linguista britannico, ricordato soprattutto per aver inventato il concetto di ‘alta fantasia’. Il Signore degli Anelli, capolavoro indiscusso del genere fantasy, è considerata dai più la sua opera primaria. Opera che seguitò il suo successo negli anni Duemila con l’omonimo adattamento cinematografico hollywoodiano. Un successo planetario segnato da 17 premi Oscar e un incasso pari a 3 miliardi di dollari. Tuttavia l’eredità di Tolkien è ben più ricca e complessa. Sarebbe limitato ridurla a una sola opera letteraria, nonostante questa abbia riscosso una notevole fortuna nel cinema a distanza di anni dal suo concepimento. Al di là de Il Signore degli Anelli,  gli esperimenti linguistici di Tolkien – ad esempio – sono ancora oggetto di studi presso le più importanti università del mondo. Qual è allora il suo vero lascito?

Tolkien e il concetto di ‘alta fantasia’

Per celebrare oggi i 130 anni di uno dei più importanti scrittori del XX secolo è bene ricordare quanto Tolkien abbia dato e continui a dare alle nuove generazioni. In cima alla lista dei suoi lasciti c’è l’aver elevato i concetti di fantasia e di fiaba. Lo scrittore di Bloemfontein infatti esalta la componente storica della fiaba manifestata attraverso il folklore.

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Già i fratelli Grimm – anch’essi filologi e linguisti – tentavano attraverso la fiaba di indagare il valore folkloristico e storico tedesco, mettendo in risalto l’unità germanica minacciata dal monopolio della cultura francese. L’alta fantasia di Tolkien si avvale proprio di questa indagine etnografica. La sua innovazione sta proprio nell’accostare ai personaggi d’invenzione, credenze popolari e pensieri collettivi, creando così nuove culture, nuovi nomi e nuove lingue.

È dunque necessario discostarsi dall’idea che il genere fantasy sia una letteratura per l’infanzia o d’evasione. Troppo spesso infatti nel mondo letterario (specialmente italiano) si tende a considerare la letteratura fantastica come un genere minore. Un genere che si crede nasca dal bisogno di fuga dalla realtà tipico del giovane lettore. Eppure è proprio dalla “realtà”, quella fatta di credenze popolari, che esso ha luogo.

Gli esperimenti linguistici di Tolkien

L’indagine etnografica dei personaggi narrati è la caratteristica principale dell’alta fantasia di Tolkien. Un continuo assemblaggio di architravi fatti di credenze e sogni collettivi per erigere infine un mondo immaginario robusto e ben legato. Un mondo coerente, costruito e descritto nei minimi dettagli, come se fosse reale. E cosa c’è di più realistico di una lingua grammaticata?

Tolkien lo chiamava un ‘vizio segreto’ e in effetti la sua ossessione per le lingue andava al di là di una semplice passione. Questo fin dall’infanzia. Periodo in cui conosceva già diversi idiomi europei e si dilettava a costruirne di nuovi. I suoi studi a Oxford in lingue germaniche lo portarono a conoscere la struttura dell’indoeuropeo e imitarne la modalità generativa fatta di radici e desinenze. Dall’imitazione di questo sistema, la nascita della lingua elfica. Famiglia di diversi ceppi linguistici da lui stesso sviluppata nel corso degli anni di attività letteraria e tutt’oggi studiata nel mondo accademico.

Le lingue immaginarie di Tolkien rivelano il desiderio di costruire una realtà secondaria che supera il repertorio dei Fratelli Grimm, incentrato sul folklore e sulla memoria popolare. L’atto linguistico diviene quindi un atto di sub-creazione che cela un obiettivo ancora più vasto: creare una mitologia nuova e inedita. Una mitologia cioè non tramandata oralmente o nel tempo, come ad esempio quella greca o medievale.

La sua eredità oggi

L’eredità di Tolkien riguarda pertanto una nuova metodologia di scrittura fantastica. La novità sta proprio nei miti da lui creati. Miti costruiti attorno ad una Terra di Mezzo che, sebbene riconducibile per disparati elementi ad alcune leggende nord europee, è liberamente inventata.

A distanza di 130 anni dalla nascita di Tolkien, è ancora attuale il suo concetto di creatività che si fonde con la coerenza realistica manifestata attraverso la lingua. Importante elemento, quest’ultima, di connessione e interdipendenza tra reale e immaginario.

Le grammatiche delle lingue elfiche descritte nel Silmarillion (opera postuma), ci lasciano dunque intendere l’importanza del rapporto tra lingua e contenuto narrativo. Rapporto che, a maggior ragione nel fantasy, assume un carattere peculiare in cui la lingua è creata da un solo uomo e creatrice di interi mondi. Un rapporto di reciproco ausilio secondo cui lo sviluppo dell’una dà avvio allo sviluppo dell’altro. D’altronde, come lui stesso scriveva, “la lingua ha rafforzato la fantasia e al tempo stesso attraverso di essa si è fatta più libera”.

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Martina Tolaro

Martina Tolaro

Martina Tolaro, curator ed editor freelance. Ho collaborato con imprese culturali creative nazionali e artisti internazionali. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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