Il 14 luglio 1969 usciva nelle sale Easy Rider, capolavoro senza tempo di Dennis Hooper. Da quel momento, la pellicola peserà enormemente nell’universo cinematografico: la Nuova Hollywood comprenderà che la comunicazione verso i giovani farà da spartiacque non solo a livello d’intrattenimento, bensì nei destini sociopolitici del mondo intero. Gli anni ’60, non a caso, sublimano perfettamente tutti quegli elementi mirati a creare una rivoluzione spirituale mai vista prima. La guerra del Vietnam, il 1968, gli assassini di Kennedy, Malcolm X e Martin Luther King, Woodstock. Le nuove generazioni crescono in una crepa sociale, una netta spaccatura tra la ricerca di libertà e la violenta opposizione di un sistema intimorito, probabilmente, da un’incessante presa di coscienza, dinamica e politicamente innovativa.

Easy Rider è il manifesto di un viaggio generazionale, rappresentante una consapevolezza forte, giovane e a tratti disarmante. Consapevolezza che, da qualche anno a questa parte, è tornata prepotentemente alla ribalta, dotata di una viralità mediatica ben più estesa e organizzata, grazie ai molteplici canali di comunicazione digitali. In pratica, il film di Hooper è un primissimo esempio di sensibilizzazione per diverse lotte sociali dell’epoca: semplicemente, al posto di link, tweet e post, abbiamo un lungometraggio vero e proprio.

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La ribellione giovanile anni ‘60

In Easy Rider, Wyatt (Peter Fonda) e Billy (Dennis Hooper) percorrono le sconfinate strade americane sotto il sole della California. Non sono due giovani qualsiasi, tutt’altro: Wyatt e Billy sono la reincarnazione della controcultura hippie, diametralmente opposta a un’America sempre più violenta ed intollerante. Straordinaria la performance di un altro personaggio chiave della storia: George Hanson, interpretato da un clamoroso Jack Nicholson.

Proprio quest’ultimo identifica i ragazzi come due minacce, ma non per la propria vita: i protagonisti colgono l’essenza della libertà, cosa che la borghesia americana, schiava di un tradizionalismo ormai radicato, trova inconsistente e priva di senso. Easy Rider, quindi, lancia un segnale fortissimo, ovvero l’aver recepito quella volontà di vivere indipendenti e slegati da ogni convenzione sociale imposta da una qualsiasi ideologia maggioritaria.

Italia: cosa sarebbe oggi Easy Rider?

L’anticonformismo è una legge non scritta, priva di significativi punti di riferimento o linee guida da seguire. Detto ciò, è abbastanza semplice intuire che la controcultura spirituale di Easy Rider è sostanzialmente rimasta invariata. Nonostante questo, la pressione sociale è aumentata in maniera vertiginosa: Internet ha creato una connessione profonda e realistica, a tratti inquietante se si considera la vera natura umana, ormai intrappolata nella cosiddetta F.O.M.O. (Fear Of Missing Out), cioè la paura di sentirsi emarginati da ciò che accade sulle varie piattaforme digitali e non.

Ma l’anticonformismo attuale respira valori dove la rete non è esclusa, bensì utilizzata per ragioni costruttive e socialmente utili. Avere il coraggio di mantenere la propria serenità come valore intimo e personale, senza porre eccessivamente la propria vita sotto i riflettori. La controcultura d’oggi, verosimilmente, pone una lente d’ingrandimento su tematiche per nulla approfondite, dove violenza, pregiudizi e superficialità sono ancora troppo frequenti. Il paradosso da evitare, quindi, è limitarsi a un coinvolgimento superficiale, come la condivisione di un link o l’utilizzo di un semplice hashtag. Il cambiamento sociale suggerito da Easy Rider, di conseguenza, vale anche 53 anni dopo: qualunque sia il messaggio da voler mandare al mondo, serve mettersi in movimento.

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Francesco Cretella

Francesco Cretella

Innamorato della comunicazione in ogni sua forma, specialmente se cinematografica e sportiva. Scrivo per passione e ambizione, rifacendomi ai sei elementi più importanti dell'umanità: chi, cosa, quando, dove, come e perché.

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