Prima di Faggin, la Silicon Valley era semplicemente una valle”. È così che, anni fa, Bill Gates riconosceva la centralità del silicio nell’evoluzione tecnologica: un primato venuto alla ribalta con i primi microprocessori il cui padre è – appunto – Federico Faggin. Ed è stato proprio lui, Federico Faggin a tenere a battesimo alla prima nazionale nella sua Vicenza, lo spettacolo che Roberto Bonzio sta portando in giro per l’Italia. “Dobbiamo tutto agli Hippie. Alle radici della New Economy” scritto e interpretato da Roberto Bonzio, per la regia di Alessio Mazzolotti, con musiche scelte dal vivo dal dj Luca Presence Carini, è molto più di un puro e semplice spettacolo multimediale. Rintracciare le connessioni che legano le nuove tecnologie alla Controcultura californiana, finisce con l’innescare riflessioni che riguardano il nostro futuro di italiani e il concetto stesso di identità. Temi su cui è importante riflettere: forse soprattutto oggi.

Cosa c’entrano le nuove tecnologie e la New Economy con la Controcultura? In realtà, pensando alla Silicon Valley, se vai alle radici di quel luogo – che è la fucina del nostro domani – scopri che la matrice principale è proprio la Controcultura. I pionieri delle tecnologie che hanno cambiato la nostra vita erano pervasi dai valori della cultura hippie e della protesta e nelle tecnologie mettevano proprio questo: il sogno di un mondo che cambia, la visione di una società completamente diversa. Per dirla in altri termini, non lavoravano per fare delle tecnologie più efficienti e questo bisogno di trasgressione, di ricerca dell’utopia, è qualcosa che in qualche modo è rimasto” racconta Roberto Bonzio, che la Silicon Valley la conosce molto bene. Giornalista atipico, Bonzio ha esordito – come da copione – con una Olivetti Lettera 22 ma oggi, le storie che intercetta, le racconta molto diversamente: cioè dal vivo. Padre del progetto “Italiani di Frontiera”, Roberto Bonzio è una sorta di psicopompo contemporaneo che traghetta tra il Nuovo e il Vecchio Continente le storie di successo dei tanti Italiani che nel grande crogiolo della Silicon Valley hanno saputo costruire nuove frontiere dell’innovazione.

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“Dobbiamo tutto agli Hippie” unisce i puntini di queste e di altre storie, seguendo il filo rosso che connette i geniali eccentrici di oggi ai grandi visionari del passato, con protagonisti italiani come Adriano Olivetti e Maria Montessori. Quello che emerge è un racconto a più voci, che tra le righe porta alla ribalta una problematica più che mai attuale: la necessità di ripensare al tema dell’identità di noi italiani su nuove basi, che non partano dalla contrapposizione frontale ma dal suo esatto contrario, la capacità di affrontare con successo la Complessità, con soluzioni inedite frutto della nostra creatività e del nostro retaggio culturale.

La nostra identità è legata a questo – sottolinea Bonzio – sappiamo incrociare le esperienze, sviluppare competenze diverse e rintracciare connessioni che altri non vedono. Questo, però, oggi sembra essere dimenticato, perché tracciare un identità basata sulla chiusura,  sulla contrapposizione frontale con sempre nuovi nemici, è molto più semplice.” Lo storytelling, quindi, si fa veicolo della ricerca di nuovi significati che restituiscano al concetto di tradizione un senso diverso: quello che, più di un secolo fa sottolineava un Gustav Mahler apparentemente lontano anni luce dall’epopea della Silicon Valley. Parlando di musica – infatti – il compositore austriaco scriveva che “tradizione significa custodire il fuoco, non adorare le ceneri“.

Martina Fragale

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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