500 mld $ l’anno per l’abbigliamento “usa e getta” e 1,2 tonnellate di CO2 spingono verso una moda più sostenibile.

La moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo, nella strada, la moda ha a che fare con le idee, il nostro modo di vivere, che cosa sta accadendo

Coco Chanel

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Si è portati a pensare che la moda sia frivolezza o tuttalpiù un modo per distrarsi da eventi e pensieri negativi, come lo shopping terapeutico. La moda è questo ma è anche molto di più. La moda è cultura, ed è l’effetto dei cambiamenti sociali ed economici.

Come non ricordare negli anni ‘50 i vestitini strizzati in vita che ingentilivano le silouette femminili rendendole più prosperose, erano gli anni del dopoguerra e del boom economico, anni in cui il bisogno di sicurezza passava anche dalla figura di una donna più accogliente e sinuosa.

Negli anni ‘80 con l’avvento delle maxi spalline si richiamava ad una figura femminile più androgina, la maggiore presenza nella scena economica e politica della donna in quegli anni spingeva ad una “mascolinità“ nelle tendenze moda. Dopo la deflagrazione iperconsumistica dell’ultimo decennio determinata soprattutto dell’influenza dei canali social, ora si sta avviando un nuovo processo di cambiamento nel fashion trend.

Ancora prima del Covid-19, e a maggior ragione dopo l’impatto devastante sul settore moda della pandemia, la necessità di intraprendere un’inversione di rotta verso una moda più consapevole è diventata un imperativo categorico. Sentiamo parlare sempre più spesso di moda ecosostenibile. Che sia per le aziende un nuovo filone da sfruttare richiamando la corsa di tutti gli influencer ad accaparrarsi un capo green da pubblicizzare o che sia un‘effettiva sensibilizzazione nei confronti di una sostenibilità ambientale poco importa. Gli sforzi che si stanno facendo sono quelli di riconversione di un’industria troppo impattante sull’ambiente.

Da studi effettuati della fondazione dell’ex skipper britannica, Ellen MacArthur, di cui si fa portavoce la stilista Stella McCartney, emerge che circa 500 miliardi di dollari all’anno vengono buttati a causa di abbigliamento “usa e getta”.

Oltre ad essere uno spreco di materie prime e di evidenti risorse economiche, anche l’impatto sull’ambiente è notevole: gli abiti rilasciano, ogni anno, mezzo milione di tonnellate di microfibre negli oceani (pari a 50 miliardi di bottiglie di plastica) e le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione tessile si aggira intorno a 1,2 miliardi di tonnellate l’anno, con un notevole effetto sul riscaldamento globale e sul cambiamento climatico.

Ed è in questo scenario che l’avvento di una moda ecosostenibile ed etica diventa fondamentale. L‘utilizzo di materiale di derivazione biologica, ad esempio l’Orange fiber dagli agrumi, il SeaCell dalle alghe marine o il Biancomil, la fibra di latte, comincia a prendere il posto dell’uso di fibre sintetiche di origine plastica, come la microfibra in poliestere e poliammide, altamente inquinante. Ottima la scelta di tinte naturali che vengono sempre più impiegate nella colorazione dei tessuti a scapito di quelle chimiche.

Altra frontiera della moda sostenibile è la produzione di tessuti da bottiglie riciclate che vengono impiegati soprattutto nella realizzazione di capi high-tech sportivi o per lavoratori. In un contesto di sensibilizzazione al consumo e all’acquisto responsabile, anche il concetto di fast fashion comincerebbe ad avere delle battute di arresto, che, con buona pace soprattutto di molte donne, si tradurrebbe in minore ansia da rincorsa all’ultimo trend, armadi meno affollati, e più soldi nel portafogli.

Riprendendo la celebre frase di Coco Chanel su citata, si potrebbe dire che ciò che sta accadendo a livello globale in termini economici, ma anche e soprattutto di salute del nostro pianeta, sta portando a riscrivere i canoni estetici di una moda e forse di uno stile che non può prescindere più dalla responsabilità di ciò che si indossa.

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Mario Rigo

Mario Rigo

Mario Rigo è stato manager per importanti aziende internazionali nel mondo del Luxury Goods. Attualmente ha una società di consulenza strategica e formazione nel mondo retail. Ha scritto per L’Adriatico e Lo Jonio. Oggi collabora con BuoneNotizie.it grazie allo stage annesso al percorso di formazione dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo per diventare giornalista pubblicista.

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