La nascita di nuove tecnologie ha sempre generato grandi cambiamenti per il mondo del lavoro. Basti pensare alle prime macchine agricole, che hanno reso la coltivazione molto più rapida ed efficace, riducendone allo stesso tempo gli sprechi; oppure, ancora, alla rivoluzione industriale, che ha causato un vero e proprio afflusso di migrazione dalla campagna alle città; per non parlare, poi, della più recente diffusione dei personal computer, che hanno permesso la nascita di mansioni da ufficio, più adatte alle persone meno avvezze ai lavori manuali.

Non esiste una fase della storia dell’uomo che non sia stato influenzata dal progresso tecnologico. Questa continua evoluzione ha portato alla nascita di nuovi posti di lavoro, ma ne ha anche resi obsoleti molti altri. Sarebbe quindi giusto affermare che le nuove tecnologie potrebbero arrivare a distruggere l’occupazione? Grazie alla formazione professionale, la risposta non è così scontata.

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La digitalizzazione crea nuove opportunità: i dati lo confermano

Con l’arrivo delle macchine, più veloci dell’uomo, l’industria non può che aumentare la propria produttività. La presenza umana diventa perciò obsoleta per certi ruoli, ma anche necessaria per le nuove opportunità che si vengono a creare. Per le aziende cominciano infatti ad essere essenziali persone che portino avanti nuove ricerche per futuri sviluppi e hanno poi anche la necessità di investire in addetti alla comunicazione, che promuovano l’impresa.

Ma non è tutto, perché numerosi altri settori vengono toccati da questi cambiamenti: è il caso della logistica o di tutto ciò che riguarda il design. In queste aree l’aumento di posti di lavoro è notevole. Una testimonianza a favore di questa tesi arriva dall’Italia degli anni Ottanta, protagonista di un grandissimo processo di digitalizzazione.

Nonostante questa evoluzione, il numero di persone disoccupate nel 2007 – prima della crisi finanziaria internazionale – era quasi la metà di quello di vent’anni prima. La crescita del settore terziario e la nascita di nuovi servizi avevano infatti contribuito a una vera trasformazione economica e produttiva, che era però già in atto dagli anni Settanta. In questo lasso di tempo di quasi quarant’anni, il bilancio si è comunque dimostrato positivo. Secondo l’Istat l’industria italiana e l’agricoltura hanno infatti perso un totale di due milioni di posti di lavoro, ma i servizi ne hanno creati circa cinque.

A fronte di nuovi posti di lavoro, mancano le persone che possano occuparli

Sembra paradossale, ma, nonostante vengano creati di continuo nuovi posti di lavoro, le aziende fanno fatica ad assumere, perché ciò di cui hanno bisogno è manodopera specializzata e qualificata. Esemplare è il caso delineato da Brookings Institution, centro di ricerca statunitense senza scopo di lucro, secondo cui, durante il 2014, in America, i posti per i lavoratori con competenze matematiche e informatiche erano cinque volte superiori al numero di persone disoccupate con le giuste qualifiche.

Appare perciò evidente che la digitalizzazione, più che una scomparsa di lavoro, determini una sostituzione di alcune mansioni con altre. Questo può però avere effetti negativi sui lavoratori che non possiedono le competenze per trovare nuove occupazioni nei settori in crescita.

L’istruzione e la formazione devono coesistere con la digitalizzazione

Nel corso degli anni, tante sono le strategie che sono state attuate per combattere la disoccupazione dei meno qualificati. Solo uno di questi elementi è risultato però cruciale per attenuare il fenomeno: la formazione professionale. Numerosi studi hanno confermato questa teoria. A questo proposito, particolarmente indicativa è la ricerca che INAPP – Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche – effettua ogni anno: secondo gli ultimi dati, una formazione coerente con il tipo di mansioni svolte porta il lavoratore a percepire dei cambiamenti nella sua esperienza lavorativa, come un aumento nel numero di attività da svolgere, una modifica nelle mansioni, o anche un avanzamento di carriera.

Non è un caso, quindi, che i Paesi con un maggiore tasso di investimento in ricerca e innovazione siano anche quelli in grado di beneficiare degli effetti positivi della digitalizzazione. Le nuove tecnologie tendono infatti a penalizzare i lavori meno qualificati e le aziende che faticano a mantenere il passo con l’evoluzione del mercato del lavoro, premiando invece i lavoratori più formati e più adatti ad un mercato così competitivo.

Come si può muovere l’Italia per contrastare il problema

La nostra penisola è sempre stata un passo indietro in materia di sviluppo. Il nostro sistema produttivo, in confronto a quello di molti altri Paesi, ha infatti sempre avuto più difficoltà ad adeguarsi alle nuove tecnologie. Negli ultimi anni, però, sono stati intrapresi alcuni cambiamenti, che potrebbero prepararci alle trasformazioni in atto.

È il caso, per esempio, della riforma scolastica, che ha sancito un legame molto più stretto fra apprendimento e lavoro, dotando la scuola di strumenti in grado di far fronte alle esigenze del nuovo mercato le misure varate dal Governo, come il “Piano 2025”, che mira a promuovere la crescita di settori tecnologici come la robotica e l’intelligenza artificiale.

Insomma, i presupposti per risollevarsi ci sono, ma servono comunque altre accortezze: i lavoratori e le imprese dovrebbero infatti essere guidati in un processo di formazione che li aiuti a riqualificarsi per stare al passo con il progresso. Le sfide da affrontare rimarrebbero molte, ma alleviare i disagi di lavoratori e aziende che da soli non hanno la possibilità di specializzarsi è il passo fondamentale per far vincere all’Italia la paura delle conseguenze dettate dalla tecnologia.

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Giorgia Galbulli Cavazzini

Giorgia Galbulli Cavazzini

Giorgia Galbulli Cavazzini è un'aspirante giornalista con la passione per la tecnologia. Attualmente, collabora con BuoneNotizie.it, grazie a cui ha avuto l'opportunità di conoscere il giornalismo costruttivo. Laureanda in Scienze della comunicazione, è da poco entrata anche nel mondo dell'editoria, da cui è attratta fin da quando era solo una bambina.

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