In seguito alla reintroduzione delle accise sui carburanti che hanno fatto aumentare i costi e quindi il malcontento tra i cittadini, il governo ha accusato i distributori di benzina di speculazione e ha introdotto un provvedimento per verificare la trasparenza nel settore. Le associazioni di categoria Faib-Confesercenti, Fegica e Figisc-Confcommercio hanno quindi indetto una serrata. Allo sciopero iniziato alle 19 di martedì 24 gennaio 2023 e terminato dopo 24 ore hanno aderito circa il 70% dei circa 22mila distributori attivi in tutta Italia.

Ma la legge di bilancio 2023 non ha comportato esclusivamente un aumento dei costi per i consumatori in questo ambito. La manovra è infatti anche un tentativo di destinare fondi a misure più mirate, volte a sostenere chi ha realmente bisogno nel Paese.

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Le accise sui carburanti sono tornate, ma la legge di bilancio 2023 è anche altro

Foto di Rock Staar su Unsplash

Le cause del malcontento di distributori e consumatori

Dal primo gennaio 2023 il governo ha reintrodotto le accise sui carburanti. L’imposta era stata tolta a marzo 2022 dal governo Draghi per gli effetti del conflitto russo-ucraino. Il nuovo governo ha gradualmente rimosso lo sconto, passando da 30,5 a 18,3 centesimi al litro dal primo dicembre 2022 e poi togliendolo del tutto.

Questa manovra ha comportato l’immediato innalzamento dei costi sui carburanti. Accise e IVA costituiscono infatti più della metà del costo finale, il 58% nel caso della benzina. Il restante 42% consta invece dei costi della materia prima, logistici, commerciali e amministrativi e il margine lordo del gestore. Per quanto riguarda la benzina questo equivale a quasi il 12% sul costo finale e il distributore può modificare il prezzo solo su questo segmento. Sul costo della materia prima agiscono invece le quotazioni internazionali e l’effetto dei tassi di cambio tra euro e dollaro.

Così, mentre il calo del costo della materia prima ha assorbito il reintegro delle accise a novembre, quello di gennaio è stato percepito in modo più netto. Tuttavia, quando i consumatori hanno lamentato l’aumento, il governo non ha riconosciuto il reintegro delle accise sui carburanti come la causa principale. Per tutelare le proprie scelte ha attribuito la responsabilità per gli aumenti ai distributori, a cui ha chiesto trasparenza con delle misure ad hoc.

Il decreto-legge del 14 gennaio e i tentativi di dialogo tra governo e distributori di carburanti

Secondo il “decreto carburanti” del 14 gennaio, il Ministero delle imprese e del made in Italy dovrebbe calcolare una media aritmetica dei dati sui prezzi in Italia. In seguito questi verrebbero resi pubblici, cosicché ogni consumatore possa confrontarli con quelli che i distributori saranno obbligati ad esporre. In caso di violazione delle disposizioni, il governo ha previsto una sanzione amministrativa e la possibilità di chiudere per almeno sette giorni i distributori recidivi.

La serrata durata 24 ore ha creato disagi tra i consumatori, ma anche accelerato i tentativi di dialogo tra governo e distributori. Dopo alcuni incontri tra le parti, il governo ha deciso di predisporre un emendamento al decreto, che prevede la riduzione di obblighi e sanzioni previsti inizialmente per cercare di trovare un compromesso tra le esigenze delle due parti coinvolte.

La legge di bilancio 2023 è andata oltre le accise sui carburanti per contrastare la crisi

La scelta del governo non può però essere giudicata solo alla luce del rincaro dei costi della benzina. Innanzitutto il governo precedente aveva rimosso le accise sui carburanti per calmierare l’aumento dei prezzi del petrolio e della benzina causato dalla guerra in Ucraina. Oggi invece il costo delle materie prime è ancora contenuto rispetto all’impennata dell’anno scorso.

Inoltre, molti esperti giudicavano ormai la manovra come costosa e iniqua. Per questo, da mesi tutte le principali istituzioni internazionali, come Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale, Commissione europea stanno sollecitando i governi a prendere misure più mirate verso le fasce povere.

La rimozione delle accise di marzo 2022 è costata 730 milioni di euro al mese e avvantaggiava tutti i possessori di un mezzo. Così, ne beneficiavano non solo i cittadini con redditi più bassi o in difficoltà economica, ma anche di quelli che potevano permettersi i rincari. Inoltre, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha misurato il gettito mancato per lo Stato conseguente alla manovra. L’entrata a cui il Paese ha rinunciato, derivante dal taglio generalizzato delle accise sui carburanti, ha generato un risparmio di 1,6 miliardi per il 10% più ricco della popolazione contro i 250 milioni per il 10% dei più poveri.

Così, il governo ha deciso di stanziare diversamente i propri fondi per contrastare i rincari dell’energia nella legge di bilancio 2023, nel contesto della quale sono previsti 21 miliardi euro. Alcuni bonus saranno rifinanziati al pari di quanto introdotto dal governo Draghi. La misura che prevede che i buoni benzina del valore massimo di 200 euro forniti dalle aziende ai lavoratori non concorrano al reddito sarà valida ancora per tutto il primo trimestre del 2023. Mentre altre misure, come quelle sui crediti d’imposta sui costi per l’energia per le imprese, saranno potenziate.

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Giovanni Beber

Giovanni Beber

Giovanni Beber. Studio Filosofia e Linguaggi della Modernità presso l'Università di Trento e sono il responsabile della comunicazione di un centro giovanile a Rovereto. Collaboro con alcuni blog e riviste. Mi occupo di sostenibilità, ambientale e sociale e di economia e sviluppo.

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