Questa settimana si è aperta (col botto, è il caso di dirlo) con una notizia che ha fatto esultare molti. L’abolizione della polizia morale in Iran è stata sbandierata a chiare lettere – e con tanto di titoloni – da diversi quotidiani nazionali.

Iran, abolita la polizia morale”

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Polizia morale sospesa e commissione sul velo”

Iran nel caos, il Procuratore: la polizia morale è stata abolita”

 

Ma cosa rimane di questi titoli, una settimana dopo? L’esatto opposto del clima trionfale di qualche giorno fa. Fra i titoli più recenti, il mood dominante è questo:

No, l’Iran non ha abolito la polizia morale”

Teheran scioglie la polizia morale? Non ci sono conferme”

 

L’episodio non è nuovo, ma forse in questo caso ha fatto più rumore del solito, vista l’attualità del tema Iran dopo la morte di Masha Amini. Una cosa è certa: anzi, due. La prima è che questo modo di fare informazione produce delle vittime e queste vittime sono i lettori. La seconda è che un modo migliore per gestire una notizia complessa come questa c’era ed era assolutamente alla portata di tutti.

Bastava evitare la trappola della breaking news, cioè la solita – classica – corsa a chi arriva per primo, prendersi il giusto tempo e verificare in base a fonti di qualità che fossero il più possibile vicine all’origine della notizia. Si parla tanto di filiera corta nel mondo del cibo, ma la verità è che (in un contesto in cui i media finiscono spesso per giocare al “telefono senza fili”) serve una filiera corta, e certificata, della notizia. Andare alla fonte, come dicevamo.

Noi lo abbiamo fatto. Ci siamo presi qualche giorno di tempo e siamo riusciti a intervistare Ferahste J., una giornalista iraniana residente a Teheran, esattamente poco prima che scattasse di nuovo il blocco di internet nel Paese. Quello che abbiamo scoperto non riguarda solo l’abolizione della polizia morale ma anche qualcosa di più. Se infatti, al momento, la polizia morale in Iran non è stata abolita, è anche vero che la situazione mostra alcuni spiragli positivi. E sono questi – non le fake news date per arrivare primi – gli aspetti che è urgente portare alla luce.

Ne abbiamo parlato portando alla ribalta direttamente le parole di Ferahste J. in questo articolo e raccontando quanto stia facendo la differenza la presenza di riflettori puntati costantemente sull’Iran. Mi riferisco alle pressioni internazionali ma soprattutto al ruolo (positivo in questo caso) che i media possono avere perché guerre, rivolte e temi scottanti come quelli all’ordine del giorno in Iran (ma non solo) abbiano la giusta rilevanza e non rischino di sparire nel cono d’ombra delle notizie che non vanno più di moda. Se in Iran cambierà qualcosa, questo succederà anche sulla scia delle pressioni provenienti dall’esterno. Cioè, anche come conseguenza dell’impatto che i media possono avere nell’innescare cambiamenti di enorme portata.

La polizia morale non è stata abolita. Ma se si apriranno negoziati in grado di mitigarla, questo avverrà anche perché i media stanno contribuendo a non lasciare il Paese da solo. Anche l’eco mediatica del silenzio dei calciatori iraniani ai mondiali in Qatar (di cui vi abbiamo parlato in questo articolo) ha giocato il suo ruolo.

Volenti o nolenti, i media hanno sempre un impatto sulla realtà. Sia in negativo che in positivo. Parlare della guerra in Ucraina, per esempio, serve. Ma parlare solo della guerra in Ucraina e dimenticare l’esistenza di altri conflitti ha un impatto che rischia di essere devastante per le popolazioni dei Paesi che finiscono nel limbo delle guerre dimenticate. Abbiamo affrontato questo tema, per esempio, in un’intervista a Barbara Schiavulli, inviata di guerra in Afghanistan. L’Iran oggi, si trova nella condizione dei Paesi che fanno ancora parlare di sé, l’Ucraina pure. Ma quante sono le guerre dimenticate? E quante sono le vittime di un’informazione che rischia di cavalcare solo i trend topic?

Proprio perché il suo potere può essere enorme, serve un giornalismo di segno diverso: un giornalismo più costruttivo.

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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