Robot e lavoro: quale sarà l’impatto degli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale sul lavoro umano? O per dirla in altri termi, rispolverando qualche fantasma dell’epoca luddista: le macchine ci ruberanno il lavoro o creeranno nuove professioni? Su questo tema, che sia sul piano pratico sia dal punto di vista emotivo rappresenta uno dei principali “spauracchi” dei nostri tempi, abbiamo deciso di costruire una breve inchiesta. Lo scopo non è quello di negare i rischi temuti, a quanto dicono le stime, da circa l’85% dei lavoratori quanto piuttosto quello di indagare un tema scottante in modo non univoco: alla luce, cioè, tanto dei rischi quanto delle opportunità oggettive.

Sembrano lontanissimi i tempi in cui Isaac Asimov pubblicò “Io Robot”, uno dei libri cult della letteratura fantascientifica mondiale. All’epoca, la guerra si era conclusa solo da cinque anni e quella che Asimov descriveva nel suo libro sembrava davvero un’ipotesi fantascientifica remota. Eppure, i racconti di “Io Robot” sono ambientati tra il 1996 e il 2057: cioè praticamente ai giorni nostri. E oggi, con ogni evidenza, la civiltà automatizzata abbozzata da Asimov sembra effettivamente una realtà sempre più concreta e tangibile. Soprattutto sul piano lavorativo.

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Avevamo già parlato, in un’inchiesta precedente sul lavoro del futuro, di come – in base al report Mc Kinsey & Company del 2017 – secondo le previsioni, nel futuro prossimo il 49% delle professioni attualmente svolte dal’uomo potrebbero trasformarsi in mansioni completamente automatizzate. Un’ipotesi più che realistica che sembra dare adito alle paure di chi teme che i robot finiranno davvero per “rubare” il lavoro agli uomini. Un timore tutt’altro che nuovo, peraltro. Basti pensare al Luddismo, quel vasto movimento operaio che portò al boicottaggio di molte macchine in pieno Ottocento, sulla scia delle prime automazioni del lavoro innescate dalla Seconda Rivoluzione Industriale. Timori leggittimi quindi? Sì e no, ma forse soprattutto no.

Partiamo dal no. Se è vero che i robot prenderanno in carico buona parte del lavoro che oggi viene svolto da lavoratori in carne e ossa, è anche vero che gli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale stanno già creando nuove professioni. E’ quanto si evince dal report Future of Jobs del World Economic Forum,  secondo cui l’Intelligenza Artificiale eliminerà 85 milioni di professioni ma ne creerà 98 milioni in più, andando peraltro a rispondere anche al calo di manodopera che in molti Paesi (Italia compresa, presumibilmente) la contrazione delle nascite porterà con sé. D’altra parte, come avevamo già sottolineato in questo articolo, accanto alle nuove professioni legate alla green economy e alla data analysis, le maggiori richieste di nuove figure lavorative, nel futuro prossimo, si avranno proprio nell’ambito legato alla gestione e alla creazione dell’Intelligenza Artificiale.

Per dirla in pillole, quindi, anziché rubarci il lavoro le macchine – più plausibilmente – elimineranno vecchie professioni (le più obsolete e quelle che richiedono meno competenze) creando però nuove opportunità. In fondo, è quello che sta già succendendo e non solo nell’ambito di professioni che richiedono un alto livello di competenze. In questo articolo, per esempio, raccontiamo la storia di Chiara V. che, sulla scia del fenomeno delle Grandi Dimissioni ha lasciato un lavoro che non amava per formarsi in un settore che la appassiona e – nel mentre – sbarca il lunario, in pratica, “insegnando alle macchine a imparare“. Cioè lavorando nell’ambito del machine learning. Un esempio lampante di come, oggigiorno, l’automazione del lavoro porti con sé non solo rischi ma anche nuove opportunità per diverse categorie professionali con differenti livelli di competenze.

Ma c’è di più. Robot e lavoro umano potrebbero presentarsi non come controparti di un aut-aut ma come elementi di un dialogo basato sulla reciproca integrazione. E’quanto sembra prospettare l’emergere dei cobot: robot creati ad hoc con l’obiettivo di interagire con l’uomo anziché sostituirlo. Quali e quanti saranno effettivamente i loro sviluppi, anche nel mondo del giornalismo, per ora non lo sappiamo ma certamente ce ne renderemo conto nel futuro prossimo. Riassumendo: abbiamo ragione a temere che i robot ci sostituiscano nel mondo del lavoro? In buona parte no.

Detto questo, è indubbio che alcuni timori siano del tutto legittimi.

L’ottimismo incondizionato non ha nulla a che vedere con il giornalismo costruttivo e analizzare le soluzioni non significa certo non mettere a fuoco i problemi.

Le applicazioni e gli sviluppi delle nuove tecnologie portano con sé anche dei rischi: per questo, se da una parte è bene non cadere nella trappola delle visioni catastrofiste, dall’altra è anche bene evitare di trasformarsi in cheerleader dell’Intelligenza Artificiale “alla cieca”. I rischi vanno guardati in faccia e affrontati attraverso la costruzione di una nuova etica, che connetta la ricerca nell’ambito dell’innovazione ad altri rami come la sociologia e la filosofia. Una buona occasione, peraltro, per creare connessioni tra sapere umanistico e conoscenze scientifiche: due ambiti che, almeno in Italia, negli ultimi cent’anni sono stati messi in contrapposizione, più che in connessione. E’ora di ricominciare a “riunire i fili” e in questo senso la costruzione di un’etica dell’Intelligenza Artificiale rappresenta un’opportunità imperdibile, che dobbiamo assolutamente cogliere. Lo stiamo facendo, in fondo, ed è sulla scia di questa esigenza che si è sviluppato il concetto di Innovazione Responsabile.

Tutti gli articoli dell’inchiesta:

Dai robot ai cobot: il rapporto uomo-macchine non sarà per forza un aut-aut

Lavoro e futuro: quando le macchine creano nuove professioni

Intelligenza Artificiale e giornalismo: nemici o alleati?

Innovazione digitale tra rischi e opportunità: il ruolo dell’Innovazione Responsabile

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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