La moda e tutto il settore tessile e accessorio sono il fiore all’occhiello dell’industria italiana, secondi solo all’agroalimentare. A differenza di quest’ultimo però, che non ha patito alcun impatto con la pandemia, il fashion market dopo la crisi del 2020 si è ripreso ben oltre le stime. Questo nonostante il quadro geopolitico attuale abbia sottratto dal mercato Russia e Cina, una per via del conflitto in Ucraina e il conseguente blocco delle esportazioni e l’altra per via del lockdown.

Di conseguenza, riguardo al futuro prossimo di questa grossa fetta di mercato c’è grande fermento da parte degli addetti ai lavori, che recentemente si sono espressi sui trend per il 2023, in occasione dei Wired Trends 2023, il ciclo di giornate promosse da Wired Italia con la partnership scientifica di Ipsos.

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Moda e sostenibilità secondo i consumatori

Per il 2023 si prevede che il mercato del comparto tessile varrà circa 83 milioni di euro, coinvolgendo più di 500 mila addetti. Di conseguenza, “la sostenibilità non può più essere considerata un trend, ma un imperativo categorico”, ha introdotto Silvia Andreani, client officer fashion & Luxury di Ipsos. Tuttavia, dal sondaggio emerge che i consumatori sono poco consapevoli dell’impatto ambientale della filiera produttiva; la maggioranza crede sia al quinto posto tra le industrie inquinanti, mentre è seconda solo all’oil & gas. I nodi cruciali del fashion market in futuro sono il greenwashing e i nuovi canali di marketing.

L’ombra del greenwashing (il cosiddetto “ambientalismo di facciata”) incombe a causa di messaggi generici e scollati dalla brand identity, aggravato da numerosi casi di smascheramento. In controtendenza è nato il fenomeno del green-hushing, secondo cui le aziende non comunicano le proprie pratiche per paura di perdere la propria reputazione. Una soluzione ipotizzata sarebbe offrire al consumatore una trasparenza tangibile, attraverso il virtual sampling, cioè mostrando come si evitano sprechi, o NFT; l’acronimo indica i non-fungible token, certificati immateriali che attestano proprietà e autenticità di un oggetto digitale. La stessa modalità ha preso piede nel processo di digitalizzazione dell’arte.

Il boom dell’online fashion shopping è partito con la pandemia e proseguito con l’esplosione del “modello influencer”, attraverso pratiche di live stream (in cui si promuove un prodotto commerciale in diretta) e di social shopping (in cui l’acquisto è spinto dall’interazione sociale reale o virtuale tra amici o privati). Questo ha reso orizzontale e alla pari il rapporto tra azienda e consumatore; anche i dati dell’ultimo Black Friday confermano il fashion come categoria più acquistata in Italia.

Circular fashion market del futuro, dal green claim all’ecodesign

Il report del Monitor for circular fashion elaborato dall’omonimo osservatorio della Bocconi individua gli indicatori di prestazione per le aziende sul piano della circolarità e mira a costruire una community di aziende che collaborino a questo scopo, come i progetti pilota illustrati nel documento.

Francesca Rinaldi, direttrice dell’Osservatorio Bocconi e autrice di Fashion Industry 2023, ha evidenziato le priorità emerse. Innanzitutto, integrare l’ecodesign nella filiera implementando i principi di riciclabilità, durabilità e riparabilità dei materiali, non solo usando materie prime circolari. Per scongiurare l’effetto greenwashing “bisogna partire dalla tracciabilità, così da dar sostanza ai claim di sostenibilità”, aggiunge Rinaldi. Un esempio è il digital product passport, che traccia le informazioni su emissioni e sostanze tossiche nella produzione dei capi.

Sul fronte normativo, attualmente l’UE prevede circa dieci norme sulla fashion circularity, all’interno del green deal, frutto delle iniziative proposte dall’UE per la neutralità climatica entro il 2050. Prossimamente sono attese due norme: una sul labelling, che imporrà di riportare sulle etichette un logo digitale, consultabile per verificare i criteri ambientali ed etici che il capo soddisfa e un’altra sulla regolamentazione per l’ecodesign applicato al tessile.

Innovazione tecnologica e tamponi PCR sui vestiti

Proprio alla tracciabilità del fashion market si dedica Haelixa, l’azienda svizzera cofondata da Michela Puddu come spin-off del lavoro di ricerca svolto durante il suo dottorato presso il Politecnico di Zurigo. Il metodo ideato applica i “traccianti del dna tramite una sostanza sintetica, che viene nebulizzata sul tessuto a partire dal materiale grezzo e resta fino al prodotto finito”. In questo modo la fibra ottiene un’identificazione personalizzata rilevabile tramite PCR (proteina C reattiva) che funge da “tampone per i vestiti”, garantendo così l’incorruttibilità del prodotto nelle fasi precedenti alla vendita.

Giusy Cannone, amministratrice delegata della Fashion Technology azienda che si occupa di supportare startup attraverso programmi e finanziamenti per accelerare il business conferma che oggi l’hub internazionale ospita circa 40 startup che propongono innovazione concreta, non più solo digitale: manifattura più automatizzata, riciclo chimico e una catena di approvvigionamento corta, per disinnescare la logica della sovrapproduzione.

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Roberta Nutricati

Roberta Nutricati

Laureata in Lettere Moderne a Siena e in Relazioni Internazionali a Torino. Dopo aver vissuto e lavorato in Spagna per un anno, ho conseguito un master in Europrogettazione e il riconoscimento alla Camera dei Deputati come Professionista Accreditata presso la Fondazione Italia-USA a Roma. Collaboro con il settimanale TheWise Magazine e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

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