L’inquinamento ambientale dei rifiuti elettronici sta crescendo in tutto il mondo. In Italia si stima che ogni abitazione conservi circa 74 rifiuti elettronici inutilizzati e lasciati lì “nel caso possano tornare utili”. Fanno parte di questa categoria oggetti come vecchi telefoni, cavi, caricabatteria. Nel mondo si producono annualmente 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici. Sono cifre che vanno ad influire sull’equilibrio sostenibile dei maggiori produttori del settore come Stati Uniti, Cina, Giappone, Unione Europea. L’inquinamento prodotto dalle componenti elettroniche dei dispositivi dismessi è un tema poco preso in considerazione. Un giorno però i materiali di composizione di tutti i nostri dispositivi elettronici potranno essere smaltiti.

Produrre inquinamento dai rifiuti elettronici

Secondo i dati raccolti dal WEEE Forum (Associazione internazionale delle organizzazioni di responsabilità dei produttori di rifiuti elettronici) a livello mondiale si ricicla meno del 20% dei rifiuti elettronici totali. Siamo portati all’accumulo e le ragioni sono molteplici. Prima di tutto non sappiamo come sia meglio gestire un rifiuto di questo tipo, non mancano isole ecologiche e centri di raccolta; soprattutto in Italia, a livello comunale ce ne sono 1652. Quasi la metà dei cittadini purtroppo crede che in futuro potrà riutilizzare il dispositivo dismesso, questo è dovuto al fatto che un rifiuto elettronico rotto può apparire perfettamente integro e funzionante all’esterno. A quanto pare in molti pensano che il sistema di raccolta non sia efficace o non agevoli lo smaltimento elettronico.

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Quella che manca è la cultura del riciclo e riutilizzo di questo tipo di rifiuti, gli incentivi sono troppo pochi. È importante rendere noto il fatto che le componenti di rame, argento, oro e silicio di un microchip, ad esempio, possano benissimo essere riutilizzate nella costruzione di un nuovo dispositivo. Le grandi multinazionali produttrici di telefoni cellulari hanno iniziato campagne di sensibilizzazione mirate al corretto smaltimento dei rifiuti elettronici, affinché la macchina del recupero contro l’inquinamento ambientale funzioni al meglio.

Dalla raccolta allo smaltimento: strada a senso unico verso il biodegradabile

La riduzione del numero di rifiuti prodotti è uno degli obiettivi principali dell’agenda UE. La strada verso il magico mondo dello Zero Waste è lunga: dalla raccolta del rifiuto c’è lo smaltimento o il riciclo, l’alternativa è il riuso, ma in ogni caso il processo è lungo. Per questo è importante che ognuno faccia del proprio meglio affinché l’inquinamento ambientale si riduca al minimo attraverso poche semplici regole che possano agevolare il corretto decorso del ciclo di vita di un qualsiasi prodotto. Per quando riguarda l’elettronica il discorso è lo stesso, anche se può sembrare più complesso.

È in corso uno studio in Austria per rendere l’elettronica biodegradabile. Esiste un fungo che, secondo le analisi, avrebbe le stesse proprietà della plastica utilizzata per i microchip. Questo è il Ganoderma lucidum, parassita che cresce nel legno di quercia o di castagno. In sostanza quello che i ricercatori stanno cercando di fare è sostituire le componenti elettroniche non riciclabili con la pelle biodegradabile di questa pianta, i risultati finora ottenuti sono promettenti.

Un fungo contro l’inquinamento ambientale del settore elettronico

La pelle del fungo Ganoderma è unica al mondo: protegge dai parassiti, è elastica, flessibile, isolante, ultra resistente. Nonostante le caratteristiche ha uno spessore simile a quello di un foglio di carta e rimane integra anche sopra i 250 °C. La differenza rispetto alla base isolante dei chip di oggi sta nella seconda parte del ciclo di vita. Questo ipotetico materiale elettronico è infatti, per natura, biodegradabile. Essendo un vegetale, il fungo viene smaltito dal suolo in sole due settimane, così la stessa pelle. Pensiamo per un attimo a cosa succederebbe se si adottasse un materiale del genere per veri componenti elettronici: l’atto del riciclo diverrebbe semplicissimo, i materiali di riuso verrebbero estratti dai chip e la base, di origine vegetale, potrebbe addirittura essere smaltita nell’organico.

Quello in studio è un materiale che potrebbe potenzialmente durare centinaia di anni grazie alle proprietà assunte, allo stesso tempo riuscirebbe ad essere smaltito in 14 giorni. L’innovazione del secolo è iniziata? L’inquinamento ambientale dei rifiuti elettronici è al giro di boa: “I prototipi sono incredibili, e i risultati rivoluzionari” commentano gli esperti. Non resta che portare avanti le ricerche e avere fiducia nel genio umano.

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Flavia Santilli

Flavia Santilli

Studio presso l'Università degli Studi de L'Aquila. Ho collaborato con diverse testate. Sportiva agonista e istruttrice di nuoto. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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