A chi è vicino al mondo delle imprese è famigliare il concetto di Corporate Social Responsability (CSR), o Responsabilità Sociale d’Impresa, a cui recentemente si sta affiancando quello di Corporate Digital Responsability (CDR). La trasformazione digitale ha spinto i sistemi aziendali a fare i conti con l’impatto dell’innovazione tecnologia e, di riflesso, con le sue conseguenze. L’impatto sociale, ambientale e gestionale della tecnologia richiede dunque una maggiore consapevolezza per trasformarla in una risorsa.

Se l’industria 5.0 più che un’evoluzione dell’industria 4.0 è un suo ripensamento, anche la responsabilità d’impresa va riformulata a partire dall’evoluzione del sistema produttivo. La Corporate Digital Responsability mette a tema la centralità dell’uomo e della società in riferimento alla trasformazione tecnologica.

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Cos’è l’industria 5.0?

L’industria 4.0 è l’espressione con la quale nel 2011 è stata definito il modello di industrializzazione più recente. Con la quarta rivoluzione industriale, si è assistito al diffondersi di nuovi modelli di produzione supportati da un mix di tecnologia, automazione, digitalizzazione, connessione e programmazione. L’impatto dei dati e dell’informatica è stato determinante per le organizzazioni, ma anche per i lavoratori e gli interlocutori esterni.

Gli esiti di tale processo hanno contribuito a ridefinire la responsabilità delle imprese digitali: la Corporate Digital Responsability.  Questa nuova attenzione accompagna il diffondersi dell’industria 5.0, cioè un modello di impresa caratterizzato dalla cooperazione uomo-macchina per accrescere il valore dei prodotti e la soddisfazione del cliente. In questo nuova fase un grande ruolo è svolto da Intelligenza Artificiale (IA) e robotica.

Il documento della Commissione Europea “Industry 5.0: verso una industria europea sostenibile, human centric e resiliente”, parla di un approccio umano-centrico, sostenibile e resiliente. Anche alla luce del periodo pandemico, si è reso necessario ripensare la fragilità dei sistemi di produzione a partire anche dai costi etici, sociali e ambientali per elaborare nuove strategie di adattamento al cambiamento. È su questa scia che è nato il concetto di Corporate Digital Repsonsability.

La responsabilità sociale diventa digitale: la Corporate Digital Responsability

È ormai noto che per Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR) si intende “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni interessate“, così come definito nel Libro Verde della Commissione Europea del 2001.  Invece la Corporate Digital Responsability è stata descritta come “un insieme di pratiche e comportamenti che aiutano un’organizzazione a usare i dati e la tecnologia in un modo che sia socialmente, economicamente, tecnologicamente e ambientalmente responsabile”.

Le implicazioni della tecnologia a livello sociale, economico e ambientale sono ambiti ancora inesplorati e che anche l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ha rilanciato come strumenti essenziali per il perseguimento di obiettivi di sostenibilità quali il consumo e produzione responsabile, la lotta contro il cambiamento climatico, la riduzione delle diseguaglianze, la crescita economica e l’utilizzo di energia pulita e accessibile. Obiettivi che devono diventare lo scopo di tutte le aziende che intendono accostare al proprio rendimento economico un virtuoso impatto sociale, ambientale e di governance.

La Corporate Digital Responsability deve quindi integrare la Corporate Social Responsability tenendo conto del fattore dell’innovazione tecnologica ormai imprescindibile nel sistema produttivo. La via è quella tracciata dalla CSR, ossia il ricorso volontario a strumenti e misure che possano promuovere la rivoluzione digitale in maniera eticamente sostenibile così come descritto nel manifesto internazione del CDR.

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Giacomo Capodivento

Giacomo Capodivento

Insegno religione dal 2012. Laureato in Comunicazione e Marketing e studente in Comunicazione e innovazione digitale. Per me occuparmi di comunicazione è una questione politica. Oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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