Il mondo nascosto del popolo Sufi, gli antichi rituali magici delle tribù nomadi, ignorati dall’Occidente e disprezzati dai talebani wahhabita. Kabul di notte o in inverno e il suo arcipelago di villaggi illegali, senza fognature né elettricità, dove i bambini si alzano alle 4 di mattina per percorrere lunghe distanze e prendere l’acqua trasportando taniche pesanti. E poi gli hammam maschili, le palestre del XXI secolo, “tempio del corpo” del guerriero afghano.

 

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E ancora, il cimitero di Herat ed i suoi uccelli, abitati (secondo la tradizione) dalle anime dei defunti; le fumerie d’oppio, unico antidoto al dolore dei poveri; la lotta per l’autodeterminazione delle donne in città e la stessa lotta, silenziosa e disperata, nei villaggi piu’ remoti… In una parola “NUR (Luce)”.

E’ questo il titolo della mostra personale della documentarista polacca Monika Bulaj – a cura di Maurizio G. De Bonis e Valentina Trisolinoper “Punto di Svista” – inaugurata ieri pomeriggio a Roma presso lo spazio espositivo Officine Fotografiche e aperta al pubblico fino al 15 gennaio 2012. In tutto 37 immagini, dalla straordinaria valenza pittorica che, attraverso incredibili giochi cromatici e di luce – che ricordano le atmosfere cariche di phatos di Caravaggio – ritraggono la bellezza umana ed i paesaggi unici di quello che la stessa fotografa e documentarista polacca ha definito “giardino di Luce”, l’Afghanistan, terra abbacinante, dai cieli sconfinati, così inondata di sole che bisogna rifugiarsi nell’ombra – interni, albe e crepuscoli – per ridare un senso ai bagliori dello sguardo”.

Volevo vedere come vive la popolazione nonostante la nostra presenza militare, per questo sono andata lì. Non attraverso il vetro antiproiettile di un veicolo blindato, né come giornalista. Volevo vedere come un afgano vede la realtà, sentire la paura della gente. Vivere e rimanere nelle loro case, condividendo i timori, la fame e la loro stanchezza”, ha dichiarato la fotoreporter, vincitrice – con questo progetto – del Premio Bruce Chatwin 2009, del The Aftermath Project Grant 2010 e del Premio Lucchetta 2011.

Un viaggio durato cinque mesi, a bordo di camion, cavalli e yak, dalla frontiera iraniana al confine con la Cina Wakhan, passando per Balkh, Samanghan, Herat, Kabul, Jalalabad, Badakshan, Khost. Uno zig zag continuo, secondo il complesso itinerario geografico di sicurezza conosciuto da tutti gli afghani per evitare talebani e banditi, “percorso d’istinto – spiega Monika Bulaj – trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione, armata di un solo taccuino e una Leica, per carpire l’intimità unica di ogni nuovo incontro” e raccontare storie con immagini e parole, permeate da una guerra invisibile, ma onnipresente. La lotta dei Kirghiz nelle montagne del Nord, ad esempio; le famiglie dei talebani che combattono in prima linea; capi villaggio assassini pentiti e fanciulli iniziati decapitando ostaggi; ma anche i superstiti dei rapimenti, il grande business del paese, le mine anti-uomo, che aumentano invece di diminuire, e la quotidianita’ delle donne, schiacciate dal tribalismo.

Dalle spose vendute per debiti, a quelle prive d’identita che nascono e muoiono senza essere registrate, coperte a vita da un burqa, alle adolescenti chiuse nelle carceri minorili dopo la fuga da matrimoni forzati o nascoste nei rifugi per scampare alla vendetta di clan o famiglie, fino alle più fortunate che riescono studiare, nonostante le minacce di morte inchiodate di notte alle porte di chi osa scommettere sulla loro educazione. E infine gli ultimi degli ultimi, i nomadi: le Jugi costrette a prostituirsi sin da bambine o i piccoli Kuchi, privati delle greggi, condannati ad esistenze miserbili, in tuguri fatiscenti ai margini delle citta’. “Un Paese disperato dove una forestiera, però, può essere accolta in una moschea e l’incantamento dello straniero è vissuto come una benedizione; rispettoso degli anziani, perfettamente conscio che il solo futuro possibile sta nella scuola, e nei bambini che  saranno gli uomini domani”.

Dopo Officine Fotografiche il progetto “Nur (Luce) ” sara’ esposto – dal 1 marzo al 30 aprile 2012 – presso il Salone degli Incanti (ex Pescheria) a Triste, citta’ dove attualmente risiede la filologa e fotoreporter Monika Bulaj. Un’occasione per sciogliere l’enigma velato di paure e pregiudizi, alimentati dalla sovraesposizione mediatica vissuta nel corso di lunghi anni di conflitti, che avvolge il paese e un’umanità “che – conclude Bulajnonostante l’orrore, la miseria, la paura e il degrado, ancora è capace di ridere e giocare con passione, fare musica, ballare e cantare con gioia”.

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Loredana Menghi

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