Si è chiuso ieri l’appuntamento annuale con il Salone della Csr e della Innovazione Sociale: l’Università Commerciale Luigi Bocconi ha ospitato ancora una volta le aziende e le associazioni impegnate nella difficile – ma non utopica – costruzione di una nuova economia.

Pietra, vetro, cemento, forme squadrate ed essenziali: sembra  davvero una cittadella del futuro, la “nuova Bocconi” – come la chiamano gli studenti – un gioiello dell’architettura contemporanea che porta la firma del prestigioso studio dublinese Grafton Architect. Dentro, è tutto un via vai di gente che entra e che esce, senza fretta però: a dispetto dei 38000 mq di foyer, aule e scalinate, si respira un’atmosfera tranquilla, quasi salottiera e ognuno ha l’espressione di chi ha il tempo e la voglia di conversare a lungo. E davvero, ce n’è di che conversare al Salone della Csr e della Innovazione Sociale: valore condiviso, responsabilità sociale d’impresa, green economy, cash mob, commercio etico… concetti che, anni fa, per alcuni sapevano di un certo settarismo hippie e che oggi si configurano invece come le ineludibili linee guida della new economy, come principi con cui ogni impresa (volente o nolente) è tenuta a confrontarsi. Perché? Perché è cambiato il mondo, perché la crisi ha fatto da spartiacque e se è vero che ha azzerato delle certezze, è anche vero che ha aperto nuove vie: lo dimostra l’evidente (e di primo acchito, un po’spiazzante) eterogeneità dei partecipanti al Salone. Facciamo un esempio, anzi: due.

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Nell’auditorium in cui Enel celebra i dieci anni del Bilancio di Sostenibilità, Paolo Andrea Colombo, presidente della società, spiega come oggi ripensare il modello di crescita economica in termini di sostenibilità e responsabilità sociale rappresenti una sfida rivoluzionaria e necessaria in cui le imprese sono chiamate a giocare una funzione di primo piano, supplendo al ruolo di governi finanziariamente sempre più deboli. Responsabilità sociale d’impresa e sostenibilità non sono più spauracchi e nemici del business ma i principali alleati di una logica del profitto che – almeno formalmente – sembra avvicinarsi sempre di più al concetto di “valore condiviso”.  La sala applaude, consenziente; è gremita di un pubblico elegante, manageriale, tecnologicamente agguerrito e armato di iPad all’ultimo grido: il quartier generale della Bocconi presente, passata e futura.

Ben diversa è l’aria che si respira al convegno “Dal flash mob al cash mob etico”, in cui si parla di sostegno a piccole imprese virtuose e dove è all’ordine del giorno la necessità di rivoluzionare le basi del business, promuovendo forme di partecipazione dal basso per costruire un’economia che “serva l’uomo”. Il pubblico interloquisce, partecipativo: è una platea colorata e informale, di giovani e meno giovani, comuni cittadini e “alternativi” che, almeno in apparenza, ben poco hanno a che vedere con il business man e con il manager da battaglia. Eppure un punto in comune c’è ed è proprio l’elemento che spiega l’eterogeneità di pubblico, forse il principale valore aggiunto del Salone. Già, perché sia che la si subordini alla logica del profitto, sia che la si codifichi come necessità etica, tutti concordano sull’esigenza di intervento e partecipazione attiva rispetto a un sistema economico che sembra essere arrivato al capolinea e non rispondere più né alle aspettative del produttore né ai bisogni del consumatore. Che fare quindi? Cambiare punto di riferimento, tornando a ciò che esisteva prima della nascita di qualsiasi sistema economico: all’uomo e alla terra. La provvidenziale “mano invisibile” di Smith non esiste e l’economia, lungi dall’avere in sé i propri anticorpi, per funzionare ha bisogno della salda mano dell’uomo. Su questo sembrano tutti d’accordo e non è poco: una consapevolezza che apre le porte al confronto e alla scommessa su un futuro difficile, da conquistare con le unghie e con i denti e che, di giorno in giorno,  si configura sempre più come “valore condiviso”.

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