Esistono persone le cui storie devono essere raccontate sottovoce e senza sensazionalismi. Come la vita che loro stesse hanno scelto di vivere. Sono persone di straordinaria forza e di incredibile coraggio. Individui pronti a sacrificare se stessi per un bene che ritengono superiore finanche alle proprie vite: un bene che si chiama solidarietà, compassione e altruismo. Queste persone preferiscono restare nell’ombra. Schivi, modesti, eroi dei nostri tempi, angeli di carne ed ossa. Gente dotata di uno spirito di servizio che supera decisamente le proprie responsabilità professionali… Un esempio eccellente di questo tipo di persona è Pietro Bartolo, professione medico. Più precisamente Responsabile sanitario di Lampedusa.

La sua storia la raccontiamo così. Un giorno, la sua lingua s’irrigidisce. Le parole gli escono sconnesse dalla bocca, che sembra ormai non essere più collegata al cervello. Sono i sintomi di un’ischemia celebrale, quella che lo colpisce poco più di un mese fa. La prognosi è chiara: riposo e riabilitazione. Ma gli eventi drammatici dei giorni a venire, per il Dott. Bartolo hanno la precedenza.

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E così, dall’ultima tragedia della Sua isola, il dottore non si è fermato un minuto. “Dottore, c’è stato un naufragio vicino all’isola dei Conigli, può venire a darci una mano?“. con questo messaggio la Capitaneria di porto gli comunica giovedì scorso dell’emergenza. Gli bastano poche ore a comprenderne la portata. Il suo racconto è ancora commosso “arriva il primo barcone di un lampedusano con 47 profughi a bordo, tra cui una donna. Raccontano che a bordo c’erano 500 persone e che sono finite tutte in acqua. Capisco che le dimensioni del naufragio sono apocalittiche. Subito dopo arriva un peschereccio, a poppa c’erano quattro cadaveri di profughi tirati su“. E in un quel mare blu, diventato nero di disperazione, il Dottore è riuscito a ricucire alla vita il filo sottile che teneva una giovane donna profuga data per morta. Il Dottore l’ha salvata. Le ha toccato il polso, intuendo un battito lieve, come la sua voce, che gli esce a fatica. Il dottore ha subito capito che la donna non era ancora morta. “Mi sono avvicinato e le ho toccato il polso” racconta. “Ho fatto un sussulto, nonostante non avesse battito, però qualcosa mi faceva capire che c’era una flebile possibilità di riuscire a rianimarla. Così l’ho fatta portare immediatamente al Poliambulatorio e qui è stata rianimata per circa trenta minuti. Alla fine, il rianimatore è riuscito a farle tornare il battito quasi normale. Un miracolo. Davvero“. La ragazza verrà successivamente  trasportata in elisoccorso a Palermo. Ha bevuto non solo acqua del mare ma anche gasolio, le sue condizioni sono gravi ma è ancora viva.
Parla lentamente il dottore Bartolo, ha ancora difficoltà ad articolare le parole  ma non ha lasciato tutta quella gente da sola.  “Quanto dolore, quanto orrore“, ripete quasi impercettibilmente, un po’ per la malattia un po’ per la stanchezza e un po’ per lo strazio di questi ultimi giorni.

Il bilancio è di 111 cadaveri in poche ore. Quattro bambini. “Io difficilmente in tutti questi anni ho pianto per casi di lavoro – dice ancora – Ma questa volta è stato diverso. Non potete immaginare cosa si provi a tenere tra le braccia un batuffolo di neppure un anno o due morto. Quei capelli ricci neri, la pelle nerissima e lucida. Sembrava che dormisse. Invece era morto. Quanto dolore. Mi vergognavo ma non riuscivo a trattenere le lacrime“. Riceve una telefonata. Ce ne sono altri. Il lavoro lo chiama. Si allontana con passo stanco. All’orizzonte l’ombra di un nuovo giorno disperato in cui il dottore, e come lui tanti altri, saranno ancora pronti a sacrificare se stessi per un bene più grande della propria vita: l’amore verso i propri fratelli.  Anche domani, sottovoce e lontano dalle luci dei riflettori.

 

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