A volte le storie di due persone si incrociano senza saperlo. Un filo invisibile che lega destini diversi eppure simili. La diversità sta nei nomi di due sindromi, l’Autismo (di cui oggi si celebra la Giornata Internazionale) e la Tourette. La somiglianza sta nell’approccio propositivo nell’affrontare un qualcosa che, se comunemente viene chiamato malattia, in entrambi i casi viene percepito più come dono. E ancora, la differenza sta nel fatto che la prima storia racconta del padre di un bambino autistico , l’altra di un figlio che ha la Tourette. Ma la somiglianza anche qui accorcia le distanze: i due protagonisti sono entrambi giornalisti e entrambi hanno scritto un libro che rinnega l’approccio drammatico, nonostante la delicatezza dei temi toccati, per riempirsi di uno stile profondamente leggero ed entusiasta. In questo gioco di distanze e consonanze Buone Notizie ha cercato di sospendere quel filo collegando due persone che amano la diversità della loro vita proprio perché, nel momento in cui l’hanno percepita, quella si è trasformata in eccezionalità. E in grandi progetti.

TOMMY E GIANLUCA

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Da un lato del filo c’è Gianluca Nicoletti, un famoso giornalista italiano che, un anno fa ha scritto “Una notte ho sognato che parlavi. Così ho imparato a fare il padre di mio figlio autistico”. Un libro non fatto di pianti, dolori, lamentele e rabbia, ma di esperienze di vera quotidianità tra un papà, Gianluca, e suo figlio, Tommy. Un papà che un giorno ha scoperto che quel bambino non era solo taciturno, ma qualcosa di più. E come da quel momento tutto sia cambiato, trasformandolo  in un genitore felicemente indispensabile. “Il padre di un autistico di solito fugge. Quando non fugge, nel tempo lui e il figlio diventano gemelli inseparabili. Tommy è la mia ombra silenziosa. È un oracolo da ascoltare stando fermi, e senza troppo arrabattarsi a farlo agitare sui nostri passi. Molto più interessante è respirarlo e cercare di rubare qualcosa del suo segreto d’immota serenità“, scrive Nicoletti. Quel libro non aveva nemmeno voglia di scriverlo: eppure è successo, lo ha fatto e anche di getto, finendolo in poche settimane.

Nicoletti libro autismo E quel libro ha cambiato la vita a lui – “da quando è successo sono anche rinato professionalmente, visto che da anni mi occupavo sempre delle stesse cose: ho scoperto delle letture trasversali della realtà che prima non avrei mai nemmeno immaginato“- e a un bel po’ di persone che hanno ritrovato, in quel racconto così autentico, uno specchio della loro di vita. “E’ diventato una sorta di riferimento per le famiglie che si sono sentite una volta tanto rappresentate nel loro quotidiano -ci racconta Nicoletti – . L’autismo è uno dei problemi sociali più grossi della società: è uno spettro vastissimo che si presenta in tante forme, da ragazzi molto abili e intelligenti ma con problemi di relazione che vengono aggrediti anche a scuola e sono vittime di bullismo, a coloro che invece non possono condurre una vita come gli altri perché hanno anche dei problemi di tipo cognitivo“.

Fino all’uscita del libro Nicoletti non era un esperto in materia, ma poi lo è diventato, anche solo per la marea di famiglie che si sono rivolte a lui con una semplice domanda: ora che si fa? E’ nata così Insettopia, nome preso a prestito dalla terra promessa degli insetti evocata in ‘Zeta la formica’, cult movie di suo figlio Tommy, che si propone di diventare la più grande comunità dedicata all’autismo, una città utopica che però avrà radici salde nella realtà dove famiglie, autistici, esperti, professionisti e tutti coloro che vorranno dare il loro contributo ne diverranno colonizzatori.

Il primo tentativo è stato quello di cercare delle risposte in giro, alla scoperta di un modello di città dove i ragazzi potevano stare bene. Il risultato però non è stato quello sperato. Ho capito che in Italia manca una vera e propria cultura dell’autismo, dal numero di chi ne soffre a  false notizie sull’argomento. Per cui ho capito che per agire nel concreto bisognava partire dalla struttura: quanti siamo e dove possiamo stare al meglio”. E così Insettopia ha iniziato a mettere le fondamenta: sta partendo facendo un censimento di quanti autistici ci sono in Italia, raccogliendo informazioni chiare e accessibili per districarsi nel meccanismo limaccioso della burocrazia, prendendo contatti con le realtà dedicate all’autismo che già esistono e che sono replicabili, invitando a segnalare i luoghi dove si può andare tranquillamente con il proprio figlio senza essere guardati di traverso. “Una sorta di ‘tripadvisor’ – racconta Nicoletti – che indichi ristoranti e locali dove i nostri figli autistici siano accolti senza dover dare giustificazioni, anche per dare serenità alle famiglie che spesso, avendo un figlio autistico, tendono a isolarsi da tutti“.

E la buona notizia è che Insettopia si sta già popolando e questi coloni sono tanti: “iniziando questo progetto ho scoperto una catena di amici insospettabile che si sono entusiasmati per questa città dell’utopia“. E questa cassa di risonanza l’ha data proprio quella serenità che Insettopia va cercando, quella tranquillità dove l’autistico si senta protetto e che gran parte delle persone coinvolte nel progetto sta cercando anche per la propria esistenza.  “L’autismo si è trasformato in una risorsa. Il modo di vedere il mondo che hanno gli autistici è fatto di relazioni autentiche. Non è vero che sono staccati da tutto, ti danno molto, se ti conoscono, se si fidano e se in te non trovano ansie. Tutte le volte che un autistico capisce che tu sei colui che gli smonta le paure, gli fa passare le angosce, resta sereno e agisce con tranquillità. E questo suo modo di rapportarsi alle persone ha contagiato tutti i coloni di Insettopia che vorrebbero re-imparare a vivere in questa maniera, smettendo di precipitare nell’angoscia costante della vita quotidiana, fatta di mille false relazioni e di multitasking perenne“.  E così è nata questa comunità, che usa sì lo strumento della rete, ma che è reale e che, soprattutto, dà diritto di cittadinanza a tutti coloro che vogliono partecipare.

ROBERTO E LO SCACCIAPENSIERI

E qui arriviamo dall’altro capo del filo, dove inizia la seconda storia, quella di Roberto Tartaglia che ha appena pubblicato il suo secondo romanzo, “Lo Scacciapensieri” e che, per presentarlo, ha deciso di fare outing:  “Ciao, mi chiamo Roberto e ho la Tourette”. La Tourette è una sindrome di origine neurologica: tic, disturbi ossessivo-compulsivi e iperattività sono alcuni dei sintomi “negativi”, ma grande intelligenza, creatività e voglia di fare sono solo alcuni delle doti che regala.  Questa loro “diversità”, li rende però oggetti di sguardi sbiechi, di derisione, fino ad arrivare ad episodi più violenti di bullismo, come accade con i bambini autistici.

LoScacciapensieriThrillerEd è proprio per questo che ho voluto scrivere questo romanzo. Ho voluto scrivere una storia avvincente, carica di mistero e di enigmi da risolvere, dove i ruoli dei protagonisti si mescolano e dove la verità resta nascosta sino alla fine, ma anche una storia che facesse riflettere. Sia i tourettici che tutti gli altri“. Una condizione, quella del tourettico, che non colpisce solo gli adolescenti nella loro crescita, ma le stesse famiglie che, proprio per mancanza di cultura sull’argomento,  non sanno cosa hanno i loro figli. Così è successo anche a Roberto.

Mi trovavo in auto con mia nonna. Mamma aveva parcheggiato nei pressi di una banca. In auto c’era il silenzio. Poi, d’un tratto: «Ba-nca di Ro-ma». Mia nonna sgranò gli occhi e si voltò verso di me. Nulla di strano se non che avevo tre anni e non avevo nemmeno frequentato l’asilo“. E così l’originalità di Roberto si rivela sin dai primi anni, un’originalità che nel tempo lo porterà ad ottenere grandi risultati a scuola, nella musica e nella sua professione di giornalista e scrittore. Ma durante quegli anni non tutto è stato facile: queste strane doti, ma anche quello strano strizzare gli occhi, balbettare, urlare, colpirsi in volto non passavano inosservati. “I tempi duri non sono mancati. Lo ammetto. Tempi bagnati di lacrime, inzuppati nel dolore e nella solitudine. Ma dovevo farcela. Ho creduto molte volte di non riuscirci. Ma sentivo il dovere di farlo. Per me e per la mia famiglia“.

La cosa più terribile era per lui non riuscire a dare un nome a questo suo essere finché un giorno quel nome arriva. “Ho scoperto di avere questa sindrome solo a 32 anni, quando già s’era sviluppata per bene. Per molto tempo i miei sintomi non hanno avuto un nome. Semplicemente… mi sentivo strano“. L’ha scoperto facendo ricerca e imbattendosi in Gianfranco Morciano, anch’egli tourettico, educatore e pedagogista di grande esperienza, professore universitario, direttore di diversi centri specialistici e fondatore della Onlus “Associazione Sindrome di Tourette – Siamo In Tanti. “Partii alla volta di Milano per incontrarlo. Era la primavera del 2011. Da quel momento la mia vita sarebbe cambiata radicalmente. Grazie ai suoi consigli e ai gruppi d’incontro imparai a controllare sul serio pensieri e tic, senza il rischio di “ricadere” e senza l’utilizzo di farmaci o elettrodi alla dottor Frankenstein. Avevo in mano un’arma per combattere. Per la prima volta. Grazie alla sua esperienza e a quella della sua equipe imparai a capire chi sono davvero e cos’è la Tourette. Imparai che questa sindrome ti regala anche un quoziente intellettivo, una sensibilità e una creatività nettamente superiori alla norma. Ricordo ancora che, quando uscii dagli uffici della Onlus, dopo il primo incontro, ripensai a tutta la mia vita. E sorrisi“.

E quel sorriso Roberto ha deciso di diffonderlo, parlando apertamente sul web di chi è e di questa signora sindrome che è in lui.

Da quando ho pubblicato il thriller e messo online il video, sempre più persone con Tourette e famiglie hanno iniziato a seguirmi e a ringraziarmi per ciò che sto facendo e l’aiuto che do loro“.  Il problema principale che porta con sé la Tourette, purtroppo, è proprio la carenza di informazione. “Il mio obiettivo, anche collaborando con l’Associazione, è quello di far capire che la Tourette non è una malattia, né una disabilità. Che è un disturbo, sì, ma che è anche e soprattutto un dono“.

 

Per approfondire:

Mio figlio autistico

Roberto Tartaglia

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Alessia Marsigalia

Alessia Marsigalia

Alessia Marsigalia è giornalista professionista freelance e docente di comunicazione all’Accademia Santa Giulia di Brescia. Partendo dalla carta stampata locale e nazionale, prima come redattore e poi caporedattore, si è poi orientata alla comunicazione digitale, coordinando portali e magazine digitali, tra cui la rivista digitale BuoneNotizieMAG e la testata online BuoneNotizie.it. Ha sposato l'approccio del giornalismo costruttivo e collabora con l'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, di cui è docente e tutor per il percorso di formazione per diventare giornalisti pubblicisti.

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