La Generazione Z, impegnata sempre più spesso nelle piazze per richiamare l’attenzione sulla necessità un sistema più green, è la stessa abituata a un consumismo usa e getta della moda, seconda industria al mondo più inquinante dopo quella energetica.

Il consumo smisurato di moda low-cost ha trovato, in particolare grazie agli e-commerce, la sua massima espressione durante le chiusure forzate degli ultimi anni di pandemia, diventando un’abitudine radicata in quest’era, passata da Fast Fashion (fenomeno diffusosi negli anni Ottanta, esploso poi dagli anni 2000) a Ultra-Fast Fashion. Sono milioni i tik toker e influencer che sponsorizzano le ultime tendenze, realizzate per la maggior parte dei casi in poliestere, lanciate dall’industria del fashion. Ma, fortunatamente, qualcuno di loro si contraddistingue nell’usare i social seguendo un approccio alla moda più costruttivo.

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Ultra-Fast-Fashion: il caso Shein riaccende un faro sul lato oscuro della moda

Ultra-Fast Fashion è il termine cognato per indicare il metodo del marchio cinese Shein basato sulla produzione serrata di capi e del loro consumo massiccio, accompagnato da quel “Massì, anche se l’ho metto una sola volta mi costa poco”.

Il re dell’Ultra-Fast Fashion è diventato famoso per i suoi prezzi molto bassi, talmente bassi da essere fuori competizione con qualsiasi altro marchio low-cost. Con le sue produzioni crea un’enorme quantità di rifiuti tessili, basti pensare che su 15 milioni di capi prodotti ogni settimana, il 40% finiscono nelle discariche intasando il pianeta. Ma è per lo sfruttamento di ogni diritto dei lavoratori che Shein ha fatto parlare nuovamente e malamente di sé: non ultimo il caso di richiesta di aiuto dei dipendenti tramite le etichette sui capi venduti.

La notizia ha fatto il giro del mondo risultando poi una fake news – diffusasi per via di una mal traduzione dal cinese all’inglese – ma ha riacceso la luce su un lato oscuro della moda che, in questa errata traduzione, ha comunque un fondo di verità.

Il colosso cinese è divenuto, negli ultimi anni, l’App più scaricata, superando Amazon, ed è quotata in borsa più di Zara e H&M, pioniere dell’industria del fast fashion, grazie a un passaparola online supportato da “influencer-super-fashion” promotrici del brand.

Non solo: l’hashtag #SheinHaul viene utilizzato sui social come una sorta di competizione tra consumatori per chi compra di più e a chi fa vedere chi indossa meglio gli abiti, comprati anche solo al fine di questa gara, per guadagnare coupon e sconti. A contrastare tutto questo c’è invece una voce più silenziosa, che piano piano tira a sé un pubblico sempre più consapevole dell’insostenibilità della moda: i green influencer.

Piccole scelte quotidiane per un cambiamento globale, la parola ai green influencer

Come i social hanno portato un aumento di fashion addicted hanno anche partorito una categoria di influencer volti a seminare consigli utili per far sì che ci sia un cambio di rotta per chi consuma veracemente la moda.

Green è il termine d’obbligo per un’approccio alla vita volta a fare scelte più consapevoli dei nostri consumi, in una società in cui tutto sembra remare contro. Ma, per chi si occupa di queste filosofie di vita, forse il sogno di rendere la vita di ognuno di noi più ecosostenibile, non è più solo un miraggio.

Tra questi ci sono Nicola Lamberti, ingegnere ambientale, capace di dare risposte concrete a domande fondamentali come, tra le ultime, quella sul riscaldamento globale. Irene Colzi, invece, nei suoi viaggi intorno al mondo, ci mostra tutta la bellezza del quale siamo circondati con importanti suggerimenti ecosostenibili da adottare nella nostra quotidianità. Camilla Mendini, con i suoi 95,5 mila follower, incanta con la sua vita sostenibile entrando nel vivo della questione, con consigli pratici e molto utili per chi approccia ad una scelta sostenibile. Greenchic, dal canto suo, punta a ridare valore ai nostri armadi vestendoli con quello che già c’è.

Questi e molti altri ci regalano una visione della vita ormai imprescindibile dalle nostre scelte quotidiane, accompagnandoci per mano in quella che è una normale cura ed esaltazione di ciò che ci circonda.

I social hanno fatto molti danni dal momento che hanno contribuito ad aumentare certe malsane abitudini (come ad esempio incentivare lo shopping compulsivo), ma d’altro canto, non gli si può non riconoscere l’importanza di divulgare anche contenuti che ci possono salvare da comportamenti sbagliati.

Green Eart

pexels

 

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Laura Corona

Laura Corona

Aspirante giornalista laureata in Lettere. Scrivo di Cultura e Lifestyle collaborando con BuoneNotizie.it, grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista

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