Dove va il mondo del lavoro? Nella logica del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, qualcuno fa pronostici catastrofisti, altri parlano di ripresa. Gli schieramenti tuttavia – di qualunque tipo essi siano – lasciano sempre il tempo che trovano. Piuttosto che stabilire, con dubbi dati alla mano, l’andamento di un trend, è molto più interessante attualizzare la domanda e chiedersi: alla luce dei cambiamenti degli ultimi anni, come è cambiato il mondo del lavoro? E qual è il segreto per rinnovarsi professionalmente e trasformare un’eventuale impasse in opportunità migliorativa?

Nel mare magnum di dati e opinioni che affollano internet, una cosa è certa: il futuro del lavoro è nella capacità di innovare le proprie aspettative e competenze. Vince chi accetta di cambiare, affonda chi concepisce il lavoro in modo stagnante – come un ‘posto fisso’ – e tenta di rimanerci ancorato a vita. In una parola, il futuro (e anche il presente) è di chi si arma di flessibilità e resilienza. E si attrezza per acquisire nuove competenze.

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Iniziamo subito con lo sfatare un mito: il profondo cambiamento che ha per certi aspetti ribaltato il mondo del lavoro negli ultimi anni, è un fenomeno multicausale che non dipende solo dalla crisi ma anche da altri fattori. Per esempio, dal progresso tecnologico e dall’incidenza dei flussi migratori. Tecnologia e immigrazione, rappresentano infatti elementi che hanno contribuito a cambiare profondamente il panorama lavorativo e c’è chi li addita come cause unilaterali della disoccupazione. La realtà, tuttavia è ben diversa. Come mostrano diversi studi – a partire da quello di Mette Foged e Giovanni Peri sull’immigrazione in Danimarca tra il 1991 e il 2008 – la tecnologizzazione della produzione e il fenomeno migratorio, non hanno ‘rubato il lavoro’ ma hanno piuttosto spinto i lavoratori autoctoni a un processo di riqualificazione che li ha portati a cambiare la propria figura professionale, migliorandola.Questo flusso – sottolinea Michael Clemens, membro del Center for Global Development – ha portato all’aumento dei salari e dell’occupazione degli autoctoni non qualificati. Quando c’è immigrazione, i lavoratori autoctoni fanno scelte diverse. Foged e Peri mostrano come i lavoratori danesi non altamente qualificati hanno risposto agli afflussi di migranti specializzandosi in occupazioni che richiedono mansioni più complesse e meno lavoro manuale.

E’ in questo senso, quindi, che vale l’adagio secondo cui rimane a galla chi è disponibile a cambiare, acquisendo nuove competenze attraverso corsi di formazione e riqualificazione lavorativa. Il panorama è ampio e fa da spia alla portata del fenomeno, smussando – di conseguenza – l’immagine  immobilista del mondo lavorativo italiano. Un’immagine rigida, come tutti i cliché. Tra le offerte disponibili, spicca per esempio quella di Obiettivo Lavoro e Formazione, una società specializzata nell’erogazione di percorsi formativi pensati tanto per i privati quanto per le aziende. L’elemento più interessante, in realtà, non è tanto la varietà dei corsi previsti (quelli per i privati vanno dalle lingue straniere, al turismo, alla contabilità ecc…) quanto le diverse modalità di svolgimento dei corsi. Anche da questo punto di vista, infatti, il mondo del lavoro è cambiato e se fino a poco tempo fa l’apprendimento era vincolato a uno spazio preciso (l’aula), ora le cose sono cambiate. E’ per questo motivo che, oltre che in aula, i corsi offerti possono essere outdoor, esperienziali, svolti tramite coaching o blended learning. Un panorama vario che ben riflette l’immagine di un mondo che cambia e lo fa moltiplicando anche offerte e opportunità.


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