Non c’è niente da fare: per gli Italiani, la casa, rimane sempre qualcosa di speciale. La tana, il focolare, la ‘casa dolce casa’ – come puntualizzava, qualche anno fa, la ricerca Cosmit ‘La casa degli italiani’– resiste al tempo e all’usura di un’idea tradizionale di famiglia che ultimamente vacilla non poco. Proprio così, anzi… più la vita dei giovani tende a scorrere fuori dalle mura domestiche, più il bisogno di ‘fare casa’ – rendendo calda e accogliente la propria abitazione – sembra trasformarsi in un’esigenza (o in un’urgenza?) viva e condivisa. Che, di riflesso, impone all’architettura del presente e del futuro un decisivo cambio di passo.

Non è un caso che al Salone del Mobile si sia tenuto un laboratorio dal titolo significativo: ‘Trend Research – Home, la casa come luogo emozionale’. E’sintomatico che in uno dei più rinomati luoghi di riflessione sulla casa contemporanea, si sia parlato di importanza della dimensione emozionale. Ed è curioso che, in presenza di un humus così ricco, l’unica a tirare le somme e a sintetizzare queste esigenze in una proposta concreta e articolata sia stata Giada Schneck: la creatrice del concetto stesso di Architettura Emozionale.

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Ho sempre avuto la capacità di entrare in empatia con il cliente per capire e soprattutto per tradurre i suoi più profondi desideri realizzandoli concretamente. Oggi riesco a orientare meglio le mie intuizioni grazie a una serie di potenti strumenti teorici come la Programmazione Neurolinguistica (ho un diploma di pratictioner e master), l’enneagramma, la teoria dei tipi psicologici di Jung, l’atmosferologia… Strumenti che si integrano perfettamente con conoscenze specifiche del mio settore (ad esempio la progettazione d’interni, l’illuminotecnica, la teoria del colore) apprese in corsi di formazione e sul campo in trent’anni di esperienza”. Giada Schneck, si racconta così, con il cuore in mano e un accattivante accento toscano: la classica marcia in più che cattura, emana calore e invita a confidarsi. Il che, ben si concilia con quella che è l’essenza stessa del lavoro di Giada.

Fare Architettura Emozionale, infatti, significa entrare in una dimensione quasi medianica: rendersi permeabili al cliente, ai suoi sogni e alla sua identità… traducendone poi la sensibilità in una scelta di gusto. E andando a lavorare su quello che Giada chiama ‘il Guscio, cioè l’involucro interno della casa. Considerando le cose da questo punto di vista, la prospettiva cambia radicalmente e anche la cosa apparentemente più insignificante – che so? una cassetta della frutta – può trasformarsi in un elemento capace di rivoluzionare l’ambiente.”

Le conseguenze di questo ribaltamento di prospettiva sono radicali, forse addirittura rivoluzionarie. Se infatti, nel 90% dei casi, nel rapporto tra cliente e architetto, la casa finisce per rispecchiare la personalità e la cifra stilistica del progettista, nel caso di Giada Schneck le cose funzionano esattamente al contrario e la casa diventa il riflesso fedele di ciò che il cliente ha inconsapevolmente proiettato. E che l’architetto ha consapevolmente raccolto e tradotto in identità.

Sarà per questo che, dando una sbirciatina alle creazioni di Giada, la prima cosa che si nota è che si tratta di ambienti diversissimi l’uno dall’altro? “Quello che faccio io è prendere per mano la persona e accompagnarla nello specifico momento di vita in cui si trova. E ognuno, si sa, è un universo a sé. Ti faccio un esempio: mi è capitato di lavorare per due clienti che avevano – apparentemente – forti punti in comune: entrambi single, stessa fascia d’età, tipologia di casa molto simile. Eppure… il risultato finale è stato molto diverso. Una delle due case è venuta fuori tutta scura, l’altra tutta chiara”

Quando chiedo a Giada se questo metodo non ha effetti collaterali, la sento sorridere dall’altro capo del telefono. No, effetti collaterali veri e propri non ce ne sono. Però… “Qualche difficoltà c’è, in effetti. Il mio metodo, crea inevitabilmente una sorta di intimità, con i clienti. Si tratta di un legame molto sottile e allo stesso tempo piuttosto profondo, per cui è facile che le persone finiscano per perdere di vista che per te si tratta di lavoro e finiscono per considerarti – a tutti gli effetti – come parte integrante della loro vita.”

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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