Su 1860 lavoratori emigrati al Nord, l’85% è disposto a tornare in Meridione. E i cambiamenti innescati dalla pandemia potrebbero rendere più facile lavorare dal Sud.

A un anno dall’incontro tra BuoneNotizie.it ed Elena Militello, direttrice del progetto South Working – Lavorare dal Sud, crescono e si concretizzano gli sviluppi dell’iniziativa volta a far rientrare definitivamente nel Meridione, grazie al lavoro agile, molti “cervelli in fuga”. In collaborazione con Svimez, il progetto ha concluso un’indagine che attesta il desiderio di molti lavoratori di ristabilirsi al Sud (l’85% di 1860 intervistati).

Se ne parlava timidamente durante il lockdown, in occasione del ritorno al Meridione di molti giovani lavoratori, costretti al lavoro a distanza per via dell’emergenza sanitaria. Oggi questa fase si è però prolungata ipotizzando diversi vantaggi e confermando le grandi potenzialità dello smart working. Il lavoro agile infatti è un’opportunità che agevola una buona fascia di occupanti e contribuisce a ridistribuire popolazione nel Mezzogiorno.

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Il progetto South Working – Lavorare dal Sud nasce nel marzo 2020 proprio in questo contesto. Progetto che va di pari passo con l’omonimo fenomeno americano riguardante l’esodo verso il sud di molti professionisti di Silicon Valley e di New York. South Working – Lavorare dal Sud è un osservatorio di ricercatori nonché associazione di innovazione sociale e di lavoro sostenibile. L’intervista rilasciata un anno fa dalla dottoressa Militello per BuoneNotizie.it annunciava l’avvio di un’indagine per comprendere l’effettivo sviluppo del south working in Italia. L’indagine, pubblicata di recente sul Rapporto Svimez 2020, riporta dati che descriviamo di seguito.

I numeri del South Working

Il lavoro agile nel 2019 in Italia interessava solo 1 milione e 300 mila persone. Oggi è una scelta vantaggiosa per molte imprese. Ciò porta a diverse riflessioni riguardanti la produttività, l’inclusione, la riduzione dei costi e dei tempi. Il Rapporto Svimez 2020 rileva che quasi il 40% di 150 grandi imprese italiane del Centro-Nord trova vantaggioso il south working perché «in grado di promuovere maggiore flessibilità nella gestione del lavoro dei dipendenti e di ridurre i costi fissi delle sedi fisiche».

L’indagine redatta dal team di Militello, pubblicata in un Focus nello stesso Rapporto, ha evidenziato gli aspetti positivi del fenomeno south working. Tra questi vi sono una migliore gestione tra vita privata e vita professionale, una riduzione delle spese, una riduzione dei tempi morti dovuti agli spostamenti nei mezzi pubblici, più ecosostenibilità e la possibilità di passare più tempo coi propri familiari. Nel Focus vi è anche il risultato sui fattori che aumenterebbero la propensione a spostarsi al Sud. Tra questi spiccano: miglioramento dei collegamenti e le infrastrutture, disponibilità di spazi di coworking e detassazione parziale (es. incentivi per il rientro di giovani lavoratori).

Le politiche per promuovere il fenomeno

Le proposte di South Working – Lavorare dal Sud sono legate all’ottimizzazione delle infrastrutture, sia quelle di connettività (internet, banda larga) sia di trasporto. La proposta – fiore all’occhiello del progetto – è la cosiddetta “infrastruttura di comunità” e consiste in uno spazio condiviso per lavorare a distanza che sia anche stimolo sociale e di collettività per combattere l’isolamento da smart working.

Non il solito coworking, ma veri e propri presidi di comunità distribuiti su tutto il Meridione e anche in alcune aree del Nord Italia. «South Working promuove l’interazione virtuosa tra lavoratori e comunità locali – asserisce Militello –, anche tramite processi di partecipazione attiva e di contrasto ai potenziali effetti negativi derivanti dalla gentrificazione (o fenomeni a essa riconducibili), per comunità e insediamenti umani inclusivi, duraturi e sostenibili, come previsto dall’Obiettivo 11 dell’Agenda ONU 2030. Il nostro concetto di Sud è comunque relativo, e le aree che hanno sofferto lo spopolamento e il divario economico, sociale e tecnologico si trovano anche in territori del Nord».

Gli obiettivi di South Working – Lavorare dal Sud

L’obiettivo finale non è solo la ridistribuzione di popolazione nel Meridione attraverso il rientro dei giovani lavoratori, ma beneficiare l’intero Paese colmando così il divario economico Nord-Sud. «Vorremmo incentivare la promozione della coesione economica, sociale e territoriale e ridurre così il divario tra territori con differenti livelli di sviluppo – continua Militello –  Questi sono valori stabiliti all’art. 119 della Costituzione Italiana e dagli artt. 174-178 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea».

Lavorare dal Sud si prospetta come un nuovo modo di intendere il rapporto datore di lavoro-lavoratore, nonché l’inizio di un’innovativa cultura del lavoro nella quale sono previste nuove modalità contrattuali di lavoro agile che possano includere anche le categorie con minore accesso al mercato del lavoro (disabili o diversamente abili).

Critiche e punti deboli

Dal Rapporto Svimez 2020 si riscontrano però anche opinioni negative espresse dalle imprese intervistate. Alcune di queste infatti hanno individuato dei possibili svantaggi riguardo la perdita di controllo verso il dipendente. Un commento rilasciato per Esquire lo scorso giugno da Rossella Coppetta, docente di Management e tecnologia dell’Università Bocconi di Milano, spiega che le imprese perderebbero i valori di socialità e formazione. La docente dunque suggerisce un arbitraggio che permetta durante la settimana di gestire giorni in smart working e giorni di lavoro in ufficio.

«La nostra proposta  – chiarisce Militello – è indirizzata a chi ha già un’esperienza lavorativa. Quindi a professionisti e non stagisti. Non c’è un obbligo di rescissione netta negli ambienti di lavoro. Le nuove tecnologie tra l’altro hanno portato numerosi strumenti di applicazione ai dispositivi che stimolano il lavoro di gruppo e il senso di impresa anche in assenza di lavoro in presenza. Già prima del Covid molte multinazionali lavoravano a distanza con questi criteri».

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Martina Tolaro

Martina Tolaro

Martina Tolaro, curator ed editor freelance. Ho collaborato con imprese culturali creative nazionali e artisti internazionali. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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