Great Resignation in Italia: chi ha deciso di lasciare il lavoro e perché? Il fenomeno della Great Resignation assume dimensioni e motivazioni differenti in Italia e negli Usa. 

L’identikit del dimissionario

I settori maggiormente colpiti dalla Great Resignation italiana sono diversi da quelli statunitensi. Ad aver risentito di più delle dimissioni volontarie è il settore delle costruzioni, che registra un +52%, che Armillei motiva più come un effetto dei bonus governativi che della pandemia. Anche manifattura e sanità (rispettivamente +19% e +28%) si spopolano di lavoratori. In generale, a scegliere le dimissioni volontarie sono i lavoratori meno qualificati (+26%), gli artigiani (+23%) e i lavoratori negli uffici (+18%).

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A un primo sguardo a questi dati, risulta evidente che per spiegarli non ci si può limitare alla narrazione del “lascio il posto fisso e cambio vita”. Le persone che scelgono di dimettersi sono quelle che svolgono lavori meno qualificati, seguiti da artigiani e operai specializzati. A scegliere le dimissioni volontarie nel nostro Paese non sono lavoratori altamente qualificati, ma persone che sono in grado di ricollocarsi più facilmente nel mercato del lavoro.

I settori che hanno registrato meno dimissioni volontarie nel 2020 sono gli stessi in cui le dimissioni sono rimaste basse anche nel 2021. Non c’è stato, dunque, un trend in crescita paragonabile a quelli USA: parliamo di un terzo delle dimissioni che si sono registrate oltreoceano.

Great Resignation

Foto: lavoce.info

Great Resignation

Foto: lavoce.info

Perché si lascia il lavoro in Italia?

La pandemia è solo uno dei motivi che spingono i lavoratori a scegliere di dimettersi: lo abbiamo visto anche nell’articolo dedicato alla Great Resignation in USA e nel mondo. Una delle ipotesi per spiegare l’emorragia di lavoratori in Italia è che molti avessero già in programma di lasciare il lavoro e abbiano rimandato la decisione a causa della pandemia. Un’altra spiegazione potrebbe essere l’eccessivo stress e il burnout lavorativo a cui sono state esposte determinate categorie di lavoratori. Questo spiegherebbe i numeri particolarmente alti in settori come l’edilizia, già piagata da morti bianche, contratti precari e ora in stato di forte stress sulla scia dei bonus governativi.

La pandemia, come causa diretta dietro alla Great Resignation, viene fortemente ridimensionata da questi dati. Gli economisti Teresa Barbieri, Gaetano Basso e Sergio Scicchitano hanno elaborato un indice di esposizione al Covid-19 e un indice di lavoro da remoto, per verificare se e come queste due cause hanno avuto un impatto sui lavoratori. I dati, che potete vedere qui, non mostrano però una sostanziale correlazione negativa tra numero di dimissioni volontarie e indice di esposizione al virus o indice di lavoro da remoto.

Se è vero, dunque, che per alcuni lavoratori la pandemia ha avuto la funzione di spingere a ridimensionare il rapporto con il lavoro, si tratta di una conclusione che non spiega la maggioranza dei dati raccolti. I lavoratori che possono scegliere lo smart working sono una percentuale infinitesimale rispetto a coloro che hanno abbandonato volontariamente il lavoro.

La narrazione della pandemia come fattore scatenante della Great Resignation italiana non convince dunque fino in fondo. La spiegazione, dati (seppure incompleti) alla mano potrebbe essere riconducibile più allo stress e a trattamenti lavorativi iniqui. La pandemia potrebbe aver aggravato un sentire generalizzato che ha fatto propendere molti lavoratori italiani per le dimissioni volontarie. Un segnale che deve far ripensare agli equilibri lavorativi e a trattamenti più umani sul posto di lavoro.

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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