Cibo di oggi, cibo di ieri, slow food, fast food: temi all’ordine del giorno su cui Cinzia Scarfiddi di “Slow Food” e Silvio De Girolamo di “Autogrill” hanno recentemente intavolato (è proprio il caso di dirlo) una discussione di ampio respiro al Salone del Csr e dell’Innovazione Sociale.

Sono passati esattamente quarant’anni dall’uscita al cinema di un capolavoro indiscusso,  “La grande abbuffata”: un film in cui Marco Ferreri tratteggiava una grottesca caricatura di una società dei consumi patologicamente bulimica; non a caso – con impagabile humour noir – i protagonisti venivano fatti letteralmente scoppiare per eccesso di cibo. 1973-2013: di acqua ne è passata sotto i ponti, ma nonostante la diversità del contesto (prima il trionfo, ora l’esasperazione e la crisi della società dei consumi) l’atteggiamento nei confronti del rapporto con il cibo, non è cambiato di molto.

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Il vero spartiacque, in realtà, è precedente e risale alla Seconda Guerra Mondiale. “Ciò che è cambiato in modo sostanziale sono le cosiddette ‘competenze diffuse’ – ha sottolineato Cinzia Scarfiddi – Prima, nel contesto di un’Italia ancora sostanzialmente rurale, tutti sapevano elencare a menadito frutta e verdura di stagione; oggi no: abbiamo altre ‘competenze diffuse’, in ambito telematico per esempio, ma le conoscenze che riguardano il cibo le abbiamo perse.” Che il rapporto con il cibo e con l’alimentazione sia diventato più astratto, non lo si può negare: è una delle tante conseguenze di una società esasperatamente mediatica e metropolitana. Che fare quindi? Imparare a mangiare da capo: resettare completamente il proprio rapporto con l’alimentazione stabilendo scale di priorità diverse e sviluppando un rapporto più diretto con il cibo (andando, cioè, oltre l’etichetta). Cinzia Scarfiddi ribadisce quanto già affermato al convegno su Flash Mob e Cash Mob  sostenendo che il cibo di buona qualità non può per ovvie ragioni essere ‘low cost’ e Silvio De Girolamo contesta uno dei più consolidati luoghi comuni: “I nomi dei prodotti alimentari a volte parlano chiaro: “Fiesta”, “Festaiole”… nel Dopoguerra, in pieno boom economico, ci siamo abituati a imbandire ogni giorno quello che prima era il tipico ‘pasto della festa’: l’alimentazione è diventata uno status symbol per differenziarsi socialmente dalle proprie origini. Carne, dolci tutti i giorni: è la scelta dei prodotti, non la qualità ciò che oggi rende l’alimentazione così costosa e allo stesso tempo dannosa per l’organismo.

È dunque proprio tutto nero il panorama che si delinea? Certamente no, segnali positivi di cambiamento, che vanno nel senso di una maggior consapevolezza, si possono individuare sia nell’atteggiamento dei consumatori sia nelle proposte di alcuni grandi brand. “Quello che non sono riusciti a fare i dietologi per anni, lo sta facendo oggi la crisi – afferma Cinzia Scarfiddi – Alcune mamme preferiscono fare una torta in casa piuttosto che dare al figlio la classica merendina comprata al supermercato. Si sta riscoprendo la convenienza economica di passare dal prodotto finito alle materie prime.” Anche alcune grandi aziende mostrano una maggiore sensibilità sul campo: commentando la politica di “Autogrill” in merito, Silvio De Girolamo sottolinea come i bistrot di Stazione Centrale a Milano e di Villoresi Est rappresentino dei casi di eccellenza per le scrupolose informazioni sui prodotti fornite al consumatore. Anche Ikea, peraltro, interviene sul campo nel senso di una maggior sensibilità rispetto alla riduzione degli sprechi alimentari dando vita alla comoda doggy box : una pratica (e naturalmente biodegradabile!) “schiscetta” che permetterà di portare a casa gli avanzi dei pasti.

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