Pillole zuccherine, iniezioni saline, chirurgia simulata. Tutti conosciamo il significato del termine placebo e tutti abbiamo sentito dire almeno una volta che il semplice pensiero di ricevere un farmaco o un intervento chirurgico possa provocare un sollievo ampiamente riscontrabile nei test clinici. L’uomo conosce talmente poco del proprio cervello che anche i meccanismi dell’effetto placebo sono tuttora poco noti. Si pensa che i pensieri positivi sulla propria guarigione stimolino le nostre endocrine naturali, le quali agiscono alleviando i sintomi e causando la scomparsa del dolorePer quanto riguarda i pensieri negativi sembra invece che il nostro cervello sia dotato di meccanismi ancestrali noti come reazione di “lotta o scappa”Emozioni come la paura causano reazioni di forte stress che vanno ad attivare l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, innalzando dunque i livelli di cortisolo e adrenalina.

Correndo con la fantasia immaginiamo un uomo preistorico che, molto serenamente, raccoglie bacche o si abbevera ad un torrente. Nel trovarsi improvvisamente di fronte ad una minaccia, supponiamo un leone, il suo asse ipotalamo-ipofisi-surrene si attiva perché in quel momento il cortisolo e l’adrenalina servono. Bisogna lottare, oppure scappare. Ma questa condizione di stress fortissimo non può durare per troppo tempo in maniera continuata perché, con un leone, vivere o morire è una faccenda abbastanza sbrigativa.

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Immaginiamo invece un paziente che quotidianamente combatte per sopravvivere sottoponendosi a cure lunghe e pesanti. La sua paura è continuativa, non si tratta di una situazione da “lotta o scappa” perché non c’è modo di scappare e perché la lotta, che va per forza affrontata, è lunga e vissuta in maniera passiva. Può darsi che, anche solo per quanto riguarda il piano psicologico, questa situazione estenuante possa essere dannosa per la sua salute.

Lissa Rankin, dottoressa americana di fama internazionale, ci dice che “La mente supera la medicina”: neanche noi sappiamo ancora quanto potenti siano le capacità della nostra mente, principale alleata o nemica del nostro stesso corpo. Forse assumere un atteggiamento positivo di fronte alla malattia, ma in generale alla propria esistenza, può aumentare drasticamente le proprie aspettative di vita. I suoi studi, ancora sperimentali, sono supportati da svariati test clinici, e si stanno facendo lentamente strada all’interno della medicina tradizionale.

Se questi argomenti sono di vostro interesse, se siete ipocondriaci, o pensate di avere bisogno di una spinta motivazionale per approcciare la vita e la salute con spirito più positivo, il libro della dottoressa Rankin è un ottimo strumento di divulgazione. Divulgativo e concreto, perché allo stesso tempo ben lontano da quello che si potrebbe immaginare, ovvero un indottrinamento pseudoscientifico new age. L’attenzione della dottoressa è alla concretezza dei dati.

L’autrice divide infatti i pazienti in procinto di affrontare difficili operazioni chirurgiche tra chi è convinto che l’operazione andrà bene e chi invece nutre vere e proprie convinzioni negative sul buon esito dell’operazione. I dati parlano: tassi di mortalità superiore tra i pessimisti o, in ogni caso, tempi di recupero più lunghi rispetto a quelli dei pazienti ottimisti.

Il libro è costellato di casi clinici denominati dalla medicina tradizionale come “miracoli”. Ma per Rankin, i miracoli non esistono. Bisogna andare sotto a quella definizione, andare a vedere cosa c’è veramente. Quello che c’è sotto è una rivalutazione delle enormi potenzialità curative del nostro cervello, delle emozioni e sensazioni vissute nella quotidianità.

Ansia e felicità influenzerebbero in maniera visibile la nostra salute, il nostro aspetto, la durata della nostra vita. 

Quando chiudo il libro, proseguo la routine tenendo implicitamente a mente quanto appena letto. Ogni mio gesto a questo punto è stato condizionato. Accendo la televisione, come faccio ogni giorno, ma immediatamente realizzo che sto immagazzinando informazioni che mi predispongono ad un’attesa negativa. C’è sempre una crisi economica, il pericolo di attentati, una malattia che incombe… Spengo la televisione e accendo il computer sperando che, considerata la più ampia libertà di scelta per quanto riguarda le informazioni da acquisire, io sia in grado di essere al riparo dal bombardamento negativo. Ma niente da fare: anche i social network premiano chi urla più forte e quindi anche chi lancia l’allarme più spaventoso.

La medicina occidentale è molto avanzata per quanto riguarda le cure ma siamo sicuri di poter dire lo stesso circa la prevenzione? È come se, andando a curare i singoli organi colpiti, alleviando perfettamente i sintomi che ci disturbano, ci dimenticassimo che tutto quanto nel nostro corpo e nella nostra vita parte da lì: dal nostro cervello.

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