Vulvodinia e neuropatia del pudendo vengono comunemente chiamate malattie invisibilizzate perché dimenticate dal sistema sanitario, poco studiate dalla ricerca medica e spesso sottovalutate dalla politica sia a livello regionale che nazionale.

I numeri però ci dicono che a soffrirne è tra il 12% e il 16 % della popolazione (una donna su sette) che spesso (nel 60% dei casi) deve consultare più di uno specialista e aspettare ben 5 anni per ricevere una diagnosi.

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In questo scenario nasce, nel 2021, il Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo. L’obiettivo dichiarato è quello di ottenere il riconoscimento da parte del Servizio Sanitario Nazionale delle due patologie. In questa intervista, Emma Festini, attivista del Comitato, ci racconterà quali sono le battaglie che sta combattendo questa realtà e quali sono i risultati ottenuti finora.

Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo

“Il Comitato nasce da un’iniziativa di pazienti attiviste, ovvero persone che soffrono di una delle due patologie e che hanno scelto di uscire da una condizione di passività. Soprattutto all’interno della relazione medico-paziente. Tante volte, infatti, ci siamo sentite dire che il nostro dolore era nella nostra testa e di natura puramente psicologica. Per questo abbiamo deciso di reagire e di unirci a un comitato scientifico e portare avanti la nostra battaglia politica.

Quello che chiediamo è il riconoscimento della vulvodinia e neuropatia del pudendo come malattie croniche invalidanti. Queste comporterebbe in primis l’esenzione dalla partecipazione alle spese sanitarie da parte delle pazienti. Il tema dei costi, infatti, è cruciale. Le persone che soffrono di queste patologie si devono quasi sempre rivolgere a privati (con 400 euro di costi mensili medi) e utilizzare medicinali che non sono mutuabili. La legge inoltre prevede tutele sia riguardo al diritto al lavoro che allo studio con permessi di uscita, diritto allo smart working, esenzione dalla frequenza obbligatoria e dagli esami in presenza.”

Il culmine di questo percorso avviene nella primavera 2021, quando la legge viene depositata sia alla Camera che al Senato ottenendo un appoggio molto ampio di tutte le forze politiche.

Le battaglie di oggi

La caduta del governo nel 2022 ha frenato un po’ il percorso del Comitato che si è trovato con un Parlamento completamente cambiato. Ciò significa dover ricostruire una nuova rete di contatti e sostegno al fine di ridepositare la legge. Parallelamente le attiviste hanno però iniziato a muoversi anche su altri terreni.

“A livello nazionale quello che stiamo cercando di fare è di ottenere un aggiornamento dei LEA – Livelli essenziali di assistenza – in cui vengono elencate le patologie che il Sistema Sanitario Nazionale riconosce e su cui può garantire una risposta di cura. La lista però non viene aggiornata dal 2017. Soprattutto, credo, per una mancanza di copertura economica.

Data la forte competenza delle regioni in materia di salute, stiamo portando avanti un’attività anche qui cercando di far riconoscere nei LEA regionali – ovvero dei LEA ulteriori che ampliano quelli riconosciuti a livello nazionale – le patologie croniche non riconosciute e di spingere gli enti a costruire dei PDTA. Ovvero un Piano Diagnostico Terapeutico. Linee guide su come costruire terapie e diagnosi per le patologie in questione che poi vengono riprese nelle varie strutture sanitarie della zona.

Per ora, quello che abbiamo raggiunto è stata una presa di impegno da parte di diverse regioni attraverso mozioni od ordini del giorno a riconoscere le patologie, assicurare formazione del personale medico sanitario, campagne di sensibilizzazione e la realizzazione di un centro regionale specializzato sul dolore pelvico.”

Le difficoltà incontrate dal Comitato

L’instancabile lavoro del Comitato ha portato sicuramente dei risultati importanti nella direzione giusta. La strada da fare sembra però ancora tantissima soprattutto perché quando si parla delle malattie invisibilizzate si intersecano tutta una serie di questioni che complicano il quadro.

Da un lato c’è sicuramente l’invisibilizzazione della malattia da parte di una cultura medica ancora molto patriarcale che rispecchia i rapporti di forza tra generi ancora vigenti.  Dall’altro, invece, c’è il problema della mancanza di fondi alla sanità. A questa narrativa noi però spesso controbattiamo portando due temi. In primis che l’allocazione delle risorse è sempre una scelta politica. È importante ricordare che le persone che soffrono di queste patologie fanno già accesso al servizio sanitario inutilmente.

Io stessa ho fatto accessi totalmente inutili, in cui mi hanno dato addirittura terapie che peggioravano i sintomi. La mancanza di terapie adeguate e la cronicizzazione della malattia hanno come conseguenza lo spreco di risorse. Inoltre va ricordato che la risposta di cura non è così onerosa. La diagnosi, ad esempio, si fa con un cotton fioc e la terapia è innanzitutto farmacologica e fisioterapica. Quello che serve, quindi, è un deciso cambio di passo politico!”

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Camilla Valerio

Camilla Valerio

Mi piace scrivere di diritti, sport, attualità e questioni di genere. Collaboro con il Corriere del Mezzogiorno e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al progetto formativo realizzato dall'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.

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