Coronavirus e lockdown hanno incrementato i consumi di alcol. Una situazione difficile anche per chi aveva deciso di smettere di bere.

Due anni fa abbiamo intervistato Elsa Radaelli, un’ex alcolista che ha avviato un progetto di peer education per aiutare gli altri a smettere di bere. Oggi, coronavirus e lockdown hanno messo nuovamente sul piatto della bilancia un problema – quello delle dipendenze – che è ancora più attuale di ieri. Abbiamo quindi ricontattato Elsa per chiederle come ha affrontato questa fase e quali sono le strategie migliori che può adottare chi vuole smettere di bere.

Con il lockdown si è registrato un incremento esponenziale dell’abuso di alcolici. Come hai affrontato una fase così difficile per un’ex alcolista?

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Da sobria. Ho perso molti parenti. Quando è morto mio padre ero in terrazza a guardare nel vuoto. Cosa avrei dovuto fare? Mettermi a bere? Ma neanche per sogno! Ho affrontato il lockdown “serenamente”, abituata a soffrire, mentre tutti quelli che hanno approfittato della situazione per ricominciare a bere, hanno usato la scusa perfetta. Intendiamoci, non voglio fare la maestrina perché ci sono passata e so che non serve. Il miglior consiglio che posso dare a una persona che rischia di cadere (o di ricadere) nella dipendenza da alcol, è questo: il punto di partenza è smettere di prendersi in giro e di cercare scuse per bere. Questa è la base di tutto. Qualsiasi altro suggerimento, viene dopo. La mia, è una posizione veramente scomoda e pericolosa perché spesso gli altri ti guardano come fossi un supereroe, poi magari il mattino dopo sei giù al bar che ti bevi una Ceres. La verità, però, è che io so benissimo che non sono e non sarò mai mai fuori pericolo. Questo è il punto.

Qual è il metodo migliore per evitare di ricaderci? 

Lo sottolineo ancora una volta: quello che so è che in questo momento sono fuori dal tunnel. Può essere che fra un secondo io torni al punto di partenza e ricominci a bere. Il passaggio fondamentale, quindi, è la consapevolezza. Questa è la prima strategia. Il passaggio successivo, è l’umiltà. Quindi quando dico: “io resto umile”, non è la solita battuta che si fa su Whatsapp. Essere umile significa accettare il fatto che sarai sempre a rischio e potrai ricadere nella tua dipendenza da un momento all’altro. Ti faccio un esempio: fai un evento, una cena, un’uscita con gli amici e – nella tua testa – l’alcol è l’elemento che ti permette di funzionare. Senza, non funzioni. Quindi, la consapevolezza di poter stare con gli amici scegliendo di bere solo una coca cola sentendo comunque che stai bene, è la strategia migliore. A questo ci si arriva attraverso un percorso di umiltà. Sei consapevole quando smetti di raccontarti storie. Quando smetti di mentire. Il fatto che io mi imbarchi nell’organizzazione di eventi legati a percorsi di peer education, che conceda interviste e aiuti le persone online per me è la dimostrazione del fatto che anche se non bevi sei vivo e stai bene.

Nell’intervista di due anni fa, hai parlato di alcune strategie utili come: la gestione del pensiero, lo spostamento dell’interesse, la mindfulness etc. Le adotti ancora?

Questo tipo di tecniche sono super efficaci. Io adesso, fortunatamente, non ho momenti di crisi. Ogni volta mi ricarico da sola. Ho affrontato mille difficoltà, dalla perdita di mio padre ai problemi economici, eppure non me ne importa niente. Perché io sto bene. Lo spostamento dell’interesse e la gestione del pensiero sono tecniche semplicissime. Per esempio, quando ho sete la prima cosa che mi viene in mente è di bere una bella birra ghiacciata, perché mi piace bere. Però non ci casco e mi faccio un’acqua e menta. Mi disseto e nel momento in cui il mio corpo riceve ciò di cui ha realmente bisogno, tutto passa. Ho anche provato a mischiare acqua e coca cola: una scappatoia. È un sostitutivo? Sì. Ne sono consapevole? Sì. Mi aiuta? Sì.

Torniamo alle iniziative in cui ti sei imbarcata per aiutare chi vuole smettere di bere. In che fase si trova il progetto di peer education di cui parlavi nell’ultima intervista?

Si trova nella fase di dover ricominciare da capo. La partenza c’era, la disponibilità di fondi c’era, lo sponsor che organizzava le serate pure. Poi è arrivato il Covid e si è fermato tutto. Adesso, tra settembre e ottobre, vorrei ripartire, rilanciare il marchio e organizzare eventi. Di progetti, ce ne sono tantissimi. Bisogna infilarsi in uno di questi.

Rispetto ai tuoi progetti, che feedback hai ottenuto?

Devo dire che sono molto contenta perché i risultati ci sono. Un gruppo di ragazzi mi ha anche fatto una videointervista che ha vinto un premio all’università Cattolica Del Sacro Cuore. In quella videointervista c’ero  proprio io, senza maschera: con la fatica di dire alcune cose e la gioia di di poterne dire altre. Una maturanda del Veneto è venuta poi a conoscenza del mio progetto attraverso internet e mi ha cercata per un approfondimento che stava sviluppando.  Io sono l’esempio vivente di una persona che ha sofferto di dipendenza da alcol e ha scelto di smettere di bere. Cioè di vivere. E’ per questo che molte persone mi cercano per parlarmi dei loro problemi e chiedermi aiuto. Io il passaggio l’ho fatto, la mia è un esperienza vera, vissuta, sofferta: la soddisfazione, è pensare che possa servire a qualcuno.

Se qualcuno dovesse trovarsi in difficoltà a causa di una ricaduta o fosse alle prese con la dipendenza da alcol, quale associazione o specialista consiglieresti per uscirne?

In caso di ricaduta consiglio di andare dove si è stati curati la prima volta: è la scelta migliore. Invece, un posto che è fenomenale e che lavora benissimo è il Cad di Lambrate. La psicoterapeuta che mi ha seguita e che mi supportata dal 2012 è la Dr.ssa Cannarile, poi il Dr. Taco e l’educatore Guzzenoni. Sono un’equipe preparata, prendono in carico un paziente e lo seguono attraverso dei colloqui che hanno una frequenza prestabilita. Mentre, per eventuali emergenze, consiglio il reparto di alcologia dell’ospedale Santa Maria di Rivolta D’Adda, diretto dal Dr. Cerizza. Ti fanno fare un percorso di quattro settimane – full immersion – di psicoterapia e cura farmacologica.

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Giovanni Cugliari

Giovanni Cugliari

Giovanni Cugliari collabora con BuoneNotizie.it grazie allo stage annesso al percorso di formazione dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo per diventare giornalista pubblicista.

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