La lotta contro il coronavirus in Africa sta andando avanti, ma spesso il nostro pregiudizio culturale ha la meglio.

Quante volte leggiamo articoli di giornale sul coronavirus in Africa, ma non solo, che rimandano genericamente al continente come se esso fosse un contenitore culturalmente omogeneo? Quante volte questo genere di articoli contiene immagini che si rifanno soprattutto al suo aspetto ambientale, come per esempio alla savana e alla fauna selvatica, quasi a comunicare implicitamente che non esista altro che questo?

Eppure parliamo di un continente chiaramente molto arretrato da tanti punti di vista a causa della colonizzazione occidentale ma che presenta comunque le sue eccellenze tecnologiche e di ricerca che quasi mai vengono menzionate. Un continente su cui la Cina, per esempio, sta facendo investimenti importanti. In poche parole, un territorio sterminato e molto popoloso che è sì in via di sviluppo, ma che presenta comunque grandi margini di miglioramento e innovazioni degne di nota.

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Oggi possiamo analizzare ed osservare come molti Paesi si siano approcciati all’epidemia di coronavirus in Africa e quanto abbiano imparato da precedenti esperienze medico-sanitarie che hanno vissuto. Ciò che si evince è che probabilmente nel mondo occidentale sottovalutiamo le loro capacità in quanto siamo influenzati da un approccio occidentalocentrico, che ci porta ad avere pregiudizi culturali difficili da eradicare, anche di fronte a fatti concreti.

L’Africa non è un contenitore culturale omogeneo

Il primo errore che si fa parlando di Africa è quello di considerarla come un contenitore culturalmente omogeneo. Nel Continente Nero sono infatti presenti migliaia di gruppi etnici. Basti pensare che la sua popolazione è di un miliardo di persone dei circa otto miliardi presenti sulla Terra, e che sulle circa sette mila lingue presenti attualmente nel mondo ben due mila siano parlate in Africa, ovvero circa il 30% di esse. A proposito di ciò vale la pena di segnalare, secondo quanto riportato da un articolo del sito Face2Face Africa, un’iniziativa di Gabriel Emmanuel, esperto di Information and Communications Technology che ha lavorato per mettere a punto OBTranslate. Trattasi di una piattaforma di messaggistica con intelligenza artificiale capace di tradurre tra loro le circa duemila lingue africane.

coronavirus in africa

Coronavirus in Africa: il caso del Senegal

Pochi sanno, riguardo al coronavirus in Africa, che il Senegal è stato uno dei Paesi la cui lotta contro di esso è stata più efficiente. Come riportato da un articolo di approfondimento su The Vision, il primo caso di coronavirus è stato registrato il 2 marzo e, vista la situazione che stava andandosi a creare globalmente, le misure di contenimento sono arrivate in fretta. Il protocollo di emergenza prevedeva il divieto di attracco per le navi da crociera, il rinvio del campionato di pallacanestro, la chiusura delle scuole e la ricerca di un accordo circa la sospensione di celebrazioni con i funzionari religiosi del Paese.

Ciò che colpisce, poi, è la celerità della dichiarazione di stato d’emergenza da parte Macky Sall, Presidente del Senegal, arrivata già il 23 marzo e quindi dopo appena 21 giorni dal primo caso. Una giornata in cui erano stati registrati appena 79 casi complessivi e nessun decesso a differenza di quanto avvenuto in Italia alla vigilia del lockdown, nella quale si erano contati già più di 9 mila casi complessivi con poco meno di 500 morti. Queste le parole del Presidente senegalese:

Se continueremo a fare finta di nulla il virus si diffonderà ancora di più e in modo più aggressivo.

Macky Sall

Un approccio all’epidemia molto rapido ed efficiente, figlio di esperienze passate come quella per esempio dell’ebola, piaga che ha preceduto il coronavirus in Africa. Basti pensare che nel 2014, anno in cui il Paese fu coinvolto nell’epidemia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò il Senegal libero dalla malattia ad appena 42 giorni dal primo caso registrato. E quali contromisure sono state adottate nei confronti del coronavirus? Principalmente la riconversione di alberghi in strutture adibite alla quarantena, un sistema sanitario in grado di garantire il risultato di un tampone entro 24 ore e una comunicazione capillare ed efficace per la popolazione, sfruttando anche la mediazione dei funzionari religiosi.

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Macky Sall, Presidente del Senegal (© Twitter)

Quale lo scenario e quali i risultati in Senegal?

Le conseguenze per il Senegal avrebbero potuto essere drammatiche se si considerano i dati delle sue strutture ospedaliere: secondo The World Bank nel Paese risiede solamente un medico ogni circa 1.600 abitanti, mentre secondo un rapporto della CIA è disponibile un singolo posto letto ogni circa 3.300 abitanti. Si immagini dunque quale avrebbe potuto essere il quadro sanitario nazionale senza determinate misure politiche emergenziali.

Come è andata invece? Secondo l’aggiornamento di inizio settembre del COVID-19 Global Response Index, ovvero la classifica delle risposte globali alla pandemia, il Senegal si trova al secondo posto dietro solo alla Nuova Zelanda, dichiaratasi coronavirus-free da giugno, e davanti ad Islanda e Danimarca. Un’indice elaborato da Foreign Policy, rivista statunitense di proprietà di The Washington Post e che tratta il tema delle relazioni internazionali.

Quella del coronavirus in Africa è solo l’ultima delle epidemie

Come si diceva in precedenza, molti Paesi africani in passato hanno già dovuto fronteggiare emergenze sanitarie legate alla diffusione di virus. Si pensi per esempio al caso dell’ebola, la cui epidemia è esplosa in Guinea nel 2014 e che ha destato grande preoccupazione anche nel mondo occidentale. Un’esperienza, seppur non la prima in ordine cronologico, che ha permesso ai Paesi colpiti di ragionare e strutturare policy che permettessero di fronteggiare il problema.

Un’emergenza che potrebbe essere finalmente giunta ad una conclusione nella Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Zambia e Ghana. Quattro Paesi che, come annunciato dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità, hanno ottenuto la licenza per produrre un vaccino contro la malattia generata dall’ebola, con un’efficacia circa del 98%. Un risultato enorme che ha permesso di mettere al sicuro fasce importanti di popolazione. Si pensi per esempio che in Congo in meno di una settimana sono stata vaccinate oltre 250 mila persone.

Parlando di un virus che invece è stato eradicato ufficialmente dal Continente Nero si può citare l’esempio di quello della poliomelite. È del 25 di agosto, infatti, la notizia dell’eliminazione totale del virus, annunciata dal Regional Office for Africa dell’OMS. Una vittoria importantissima per il continente, sancita dall’Africa Regional Certification Commission, organo indipendente, e che rende così il coronavirus in Africa il secondo della storia ed essere completamente eradicato dopo quello del vaiolo circa 40 anni fa. Queste le parole di Rose Gana Gomban Leke, professoressa nonché presidente della suddetta commissione:

Oggi è una giornata storica per l’Africa. La Commissione africana di certificazione regionale per l’eradicazione della polio (ARCC) è lieta di annunciare che la Regione ha soddisfatto con successo i criteri di certificazione per l’eradicazione della polio selvaggia, senza casi di poliovirus selvatico segnalati nella Regione per quattro anni.

Rose Gana Fomban Leke

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Rose Gana Gomban Leke, professoressa nonché presidentessa dell’Africa Regional Certification Commission (© Twitter)

Stiamo abbattendo il pregiudizio culturale verso l’Africa?

La nostra prospettiva è spesso influenzata dall’occidentalocentrismo, ovvero quella tendenza a considerare il mondo occidentale come generalmente superiore agli altri. A causa di questo approccio ci viene difficile realizzare alcuni risultati importanti riguardo il coronavirus in Africa, raggiunti per esempio dal Senegal.

Ecco un passo dell’articolo di Al Jazeera scritto da Caleb Okereke e Kelsey Nielse, rispettivamente giornalista e regista nigeriano il primo e assistente sociale in Uganda la seconda:

C’è un tempo e un luogo in cui ogni cultura e Paese può essere l’esperto, essere all’avanguardia e i Paesi africani meritano di essere percepiti come autonomi, complessi e ricchi di sfumature come ogni parte del mondo.

Una visione sempre più diffusa, che trasuda equità e che rende giustizia ad un continente che sta sfruttando la sua expertise per combattere un male globale come quello del coronavirus. E ci sta largamente riuscendo, a dispetto dei nostri pregiudizi.

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Matteo Calautti

Matteo Calautti

Esterofilo e curioso osservatore di politica e attualità. Fondatore di Liguria a Spicchi e responsabile della comunicazione del Comitato Regionale Liguria di pallacanestro. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

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