Anche sul coronavirus, il sensazionalismo ha prevalso sul buon giornalismo e una buona comunicazione.

Tutti ormai conosciamo le problematiche legate al coronavirus e al sensazionalismo che deriva da una comunicazione non sempre corretta. Una situazione che viviamo ormai da fine febbraio e che ha portato al primo lockdown della storia in un Paese occidentale con misure sempre più stringenti per evitare la diffusione del contagio.

Ma qual è uno dei fattori determinanti in questa circostanza? Nella percezione che la popolazione ha del problema e delle misure adottate, giocano un ruolo determinante il giornalismo e i media.

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Fino ad oggi, nella maggior parte dei casi, il loro trend comunicativo è stato soprattutto mirato al sensazionalismo senza cercare quindi di inseguire l’obiettivo più puro: dotare la popolazione degli strumenti necessari a conoscere e comprendere la situazione. Ciò che è venuto fuori, infatti, è una continua lotta tra fazioni scientifiche, fazioni politiche e fazioni di opinione.

Il sensazionalismo sul coronavirus sui giornali

Il sensazionalismo sul coronavirus sui giornali a inizio epidemia ha scatenato l’intervento dell’Ordine dei Giornalisti

Ma forse, questo trend sta finalmente cambiando.

La situazione attuale secondo Bernabei (CTS)

In una recente intervista televisiva a Piazzapulita, su LA7, è intervenuto Roberto Bernabei, Primario di Geriatria presso il Policlinico Gemelli di Roma e membro del Comitato Tecnico Scientifico a cui si appoggia il Governo per le sue scelte politiche. Intervistato da Corrado Formigli, ci ha fornito alcuni dati chiave per inquadrare la malattia e per contestualizzarne gli effetti, senza mai però sottovalutarla: “Lei pensi che i contagiati tra 0 e 40 anni sono il 32%, tra 30 e 70 sono il 42%, e rimane un 25% che sono i contagiati dai 70 anni in più. Questo 25% fa il 90% dei morti, cioè muoiono quasi ed esclusivamente i vecchi. Dalla prima settimana di Marzo fino a oggi, l’età media supera gli ottant’anni e in più hanno tre malattie.”

Una malattia definita dall’esperto come «normale» in quanto «ne usciamo tutti insieme se tutti insieme ci comportiamo in modo normale». E un comportamento che suggerisce Bernabei è quello dell’utilizzo di uno strumento economico come il saturimetro. «Si mette sul polpastrello e ti dice a che livello di saturazione sei», ha affermato, «se hai il 92/93% di saturazione vuol dire che non hai la polmonite, che è il problema del virus». Come comportarsi in questo caso? «Se telefoni al tuo medico con questo 92/93, con un po’ di antiflogistici ed eventualmente con qualche antibiotico, puoi tranquillamente svoltare perché sai che non hai nulla di pericoloso. Diciamo che hai una super influenza, chiamiamola così, e rimani a casa».

Un intervento, quello del membro del Comitato Tecnico Scientifico, che con grande chiarezza ha quindi delineato il pericolo della malattia sottolineando comunque il fatto che se anche il 95% dei soggetti rimanga asintomatico o paucisintomatico, ovvero con poche sintomatologie, rimane comunque un 5% di persone da tutelare in quanto più fragili. Un approccio che sicuramente porta la gente ad essere più consapevole e magari a non affollare le strutture sanitarie se non in caso di necessità.

Roberto Bernabei

Roberto Bernabei, Primario di Geriatria presso il Policlinico Gemelli di Roma e membro del Comitato Tecnico Scientifico (© Twitter)

La narrazione della contrapposizione scientifica

Come dette, quello di Bernabei è stato un intervento chiarissimo che ha percorso la linea di confine tra quelle che, secondo la narrazione mediatica attuale, sembrano essere le due correnti di pensiero circa la situazione del coronavirus in Italia: da un lato quella di coloro che cercano di contestualizzare gli effetti negativi del virus e che propendono per misure meno drastiche, dall’altro coloro che invece sottolineano la pericolosità dell’affollamento di strutture ospedaliere e terapie intensive propendendo per misure più restrittive.

Se dovessimo prendere ad esempio due posizioni pubbliche contrastanti tra uomini di scienza per esemplificare il dibattito potremmo citare il botta e risposta di questi giorni tra il genovese Matteo Bassetti e il pesarese Roberto Burioni. Da un lato il Direttore dell’Unità Operativa Clinica Malattie Infettive del Policlinico San Martino di Genova, dall’altro l’immunologo nonché divulgatore scientifico.

Il sensazionalismo sul coronavirus: l’intervista a Matteo Bassetti

Pur ammettendo nella trasmissione televisiva L’aria che tira di aver sbagliato previsioni sulla seconda ondata, in un’intervista su Libero pubblicata di questi giorni Matteo Bassetti ha dichiarato che «la comunicazione è stata sbagliata» in quanto «terrorizzare le persone può aiutare a farle stare in casa, ma a livello ospedaliero gestire una popolazione nel panico genera solo caos». L’infettivologo si è così espresso, a proposito della percezione della malattia a causa dell’allarme scaturito da un eccessivo sensazionalismo: «Il coronavirus è stato ingigantito: è il panico e la paura di finire intubato che fa esplodere il sistema sanitario non i malati. Se ricevo cento telefonate al giorno da chi non sta male, come curo i malati veri?»

In riferimento alla mortalità legata soprattutto ad anziani e persone con salute già comunque compromessa, quale il motivo secondo l’infettivologo genovese? «Perché è una brutta infezione», ha dichiarato, «concorrono tanti fattori come la genetica, le condizioni di salute, lo stato delle difese immunitarie nel momento del contagio, la carica virale introiettata». «Ma già prima della comparsa del coronavirus», in chiusura, «la polmonite contratta fuori dall’ospedale era la quinta causa di morte nel mondo, e uccideva anche cinquantenni e bambini».

Matteo Bassetti ha recentemente denunciato l'eccessivo sensazionalismo sul coronavirus da parte dei media

Matteo Bassetti, Direttore dell’Unità Operativa Clinica Malattie Infettive del Policlinico San Martino di Genova (© Twitter)

La risposta di Burioni e l’opinione di Galli

In contrapposizione con queste tesi troviamo, tra gli altri, il pesarese Roberto Burioni, da anni fervente divulgatore scientifico sul web. La risposta alle accuse di sensazionalismo sul coronavirus di Matteo Bassetti, pubblicata con post sul suo profilo Facebook, è stata ferma: «Alcuni dicono che i pronto soccorso sono affollati da persone in preda al panico, e può essere vero. Ma quelle centinaia di persone che finiscono ogni giorno al cimitero a causa di Covid-19, sono spinte dal panico? Basta bugie. Basta bugie. Basta Bugie».

Una tesi dunque che non esclude l’affollamento degli ospedali dovuto al panico mediatico generalizzato ma che comunque pone l’attenzione sulla fetta di popolazione a rischio a causa delle conseguenze della malattia. Sullo stesso orizzonte di pensiero Massimo Galli, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, il quale ha recentemente dichiarato nella trasmissione televisiva Accordi & Disaccordi che ritiene giusto utilizzare misure forti per salvare il più possibile quella parte di popolazione fragile: «Quello che vogliamo evitare è che il virus, soprattutto nelle parti d’Italia dove non è stato già diffuso e mortifero, raggiunga quella parte di popolazione fragile che è stata risparmiata fino ad adesso. A Bergamo lo potrà fare di meno non soltanto perché c’è gente che ormai l’infezione se l’è fatta, ma perché molti anziani che potevano andare all’altro mondo purtroppo ci sono già andati».

Massimo Galli è tra i protagonisti delle trasmissioni tv coinvolte nella polemica sul sensazionalismo sul coronavirus

Massimo Galli, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano (© Twitter)

Sul coronavirus, il giornalismo ha ricercato il sensazionalismo

Una domanda che dovremmo però porci, apparentemente banale, è la seguente: chi ha permesso che questo dibattito venisse generato e chi ha inciso maggiormente sulla generazione di panico nei confronti della popolazione? Dispiace dirlo, ma un ruolo chiave in questo ambito è stato ricoperto dal giornalismo e dal sistema mediatico.

È vero, se la comunicazione della scienza al suo interno sta procedendo in maniera efficiente ed ottimale, ma non quella esterna e divulgativa, offrendo possibilità di interpretare la scienza stessa come divisa in fazioni. Un aspetto che è sempre accaduto e sempre accadrà di fronte a situazioni nuove ancora da comprendere a fondo ma, proprio perché si parla di scienza. Una situazione che culminerà necessariamente in una visione comune dettata dai dati, dai fatti e dalla ricerca.

Il problema rimane quindi il “durante”, ovvero la fase in cui stiamo vivendo. Una fase in cui il giornalismo avrebbe dovuto rendere giustizia ad uno dei suoi compiti più alti: filtrare le notizie, verificare la realtà e informare in modo oggettivo le persone. Ciò che si è visto, purtroppo, è stata la ricerca del titolo sensazionalistico, dello scoop e della divisione tra uomini di scienza, senza comprendere a fondo la differenza tra una diversa visione scientifica dettata dai fatti da quella dettata dalle opinioni. E, in maniera ancor più grave, non ponendo l’attenzione su una tematica fondamentale che avrebbe potuto dare alla popolazione gli strumenti per evitare il panico e per aiutare il sistema sanitario: quella di coloro che sono fragili ma che, pur non essendo malati di coronavirus, necessitano comunque di cure ospedaliere.

Una buona comunicazione è necessaria

Il sensazionalismo sul coronavirus, ha sottolineato, se mai ce ne fosse bisogno, rappresenta un grande problema di comunicazione da parte di chi dovrebbe informare la popolazione su un virus dalla duplice gravità: quella legata effettivamente alle sue conseguenze cliniche e quella legata al suo “monopolizzare” le strutture sanitarie, nonché al suo disincentivare i pazienti di altre malattie a richiedere assistenza e cura.

Una corretta informazione, come quella che alcune realtà mediatiche ed editoriali stanno portando avanti, così come gli appelli delle associazioni mediche, possono rendere la popolazione più cosciente dei rischi, delle misure definite politicamente e delle misure di prevenzione che vedono la stessa popolazione come attrice protagonista. Abbiamo tutti da guadagnare sull’essere meglio informati.

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Matteo Calautti

Matteo Calautti

Esterofilo e curioso osservatore di politica e attualità. Fondatore di Liguria a Spicchi e responsabile della comunicazione del Comitato Regionale Liguria di pallacanestro. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

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