Nei giorni scorsi, il ban di Trump sui social ha sollevato un polverone. In realtà, forse, la prospettiva corretta è molto meno allarmistica

 

Le grandi piattaforme tech americane hanno oscurato le pagine social di Trump e non solo. La lista prosegue negli ultimi giorni con quella del politico iraniano Khamenei, dell’ambasciata cinese e di Libero Quotidiano. Angela Merkel e l’attivista russo Navalny temono che questa diventi una vera e propria censura social, remando contro i principi democratici, e che non debba essere un manager a decidere se oscurare una pagina o meno. Ma è corretto e attuabile un gesto simile?

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Perché oscurare una pagina social

Se ne discute molto riguardo al blocco delle pagine pubbliche di politici sui social, e la domanda che sorge di primo acchito è: può una società privata decidere di oscurare un utente come l’ex presidente USA? Quello che sfugge a molti è che la pratica di blocco di contenuti o pagine da parte degli operatori dei social network c’è da sempre ed è all’ordine del giorno.

Esistono infatti una policy interna e una esterna che racchiudono l’insieme delle norme di comportamento. La policy interna riguarda i dipendenti d’azienda, la policy esterna gli utenti/clienti. Un modo, insomma, per garantire la convivenza online funzionale e piacevole oltre che sicura ed educata. Ogni navigatore che si avvicina a un social network adotterà quindi un certo comportamento da mantenere. Se le norme vengono violate, la piattaforma provvederà a intervenire.

Il parere degli storici

Secondo questa logica si esprime per l’Agenzia Italia Miguel Gotor, storico e docente in Storia Moderna presso l’Università di Torino: «Dal punto di vista teorico, il problema sussiste: ogni forma di censura costituisce sempre un trauma. Ma da quello pratico, occorre ricordare che i social sono piattaforme private che hanno codici di comportamento. Regole che, magari, non vengono lette al momento dell’iscrizione. Ma i regolamenti vanno rispettati.

Così come viene oscurata l’utenza del semplice cittadino che non rispetta le policy delle società private che realizzano i social, lo stesso si fa con quella del Presidente Usa. Mi sembra improprio teorizzare che si debba avviare una sorta di costituzionalizzazione di Twitter o Facebook, etc».

Si può parlare dunque di censura social?

Si parlerebbe di censura se venisse oscurata una notizia o un’opinione inedita, ma nel caso di istituzioni politiche o leader che da anni ripetono lo stesso versetto, si tratterebbe semmai di bloccare atteggiamenti già noti che danneggiano economicamente ed eticamente una piattaforma social. Da non dimenticare inoltre che i social sono gli estensori dell’opinione pubblica e semmai è questa che ha dato indirettamente il consenso a bannare certe attitude.

«Chiariamo subito – asserisce lo storico Lucio Villari sempre per l’Agenzia Italiala censura non va bene ma quando le parole vengono usate per creare occasioni di aggressione ai valori fondamentali della società, un minimo di controllo è necessario. Ognuno è libero di pensarla come vuole ma ci sono le leggi e ci sono delle istituzioni che in quanto tali vanno rispettate. […] Nessuno deve veder oscurato il proprio pensiero ma aizzare le masse e creare conflitti è cosa ben diversa dall’esprimere un’opinione.

È successo anche in Italia, a quanto ho capito. I social a volte bloccano pagine che incitano all’odio. E devo dire che certe volte, è meglio oscurare piuttosto che leggere certe dichiarazioni o sentirle. È questione di buon senso, di educazione, di opportunità. E direi anche di decenza».

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Martina Tolaro

Martina Tolaro

Martina Tolaro, curator ed editor freelance. Ho collaborato con imprese culturali creative nazionali e artisti internazionali. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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