In questi anni si dibatte sempre di più sulla parità di genere in politica e nel mondo del lavoro.

Tra sistemi che prevedono incentivi e sistemi che si fondano esclusivamente sulla meritocrazia, i segnali cominciano ad essere incoraggianti. La parità di genere nei ruoli di potere è uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni. Se è vero che la partecipazione femminile sta crescendo con il passare degli anni, è altrettanto vero che la velocità di crescita non sia così rapida quanto potrebbe. Un problema che è caratterizzato da entità e radici storiche differenti in funzione della cultura del Paese che si sta considerando. Quali sono le soluzioni che sono state adottate da alcuni Paesi per incentivare per esempio la partecipazione delle donne in politica? Esiste una soluzione efficace e univoca?

Quote rosa come strumenti di inserimento delle donne in politica

Da anni si sente parlare per esempio delle cosiddette “quote rosa”, ovvero un correttivo che riguarda elezioni politiche e nomine amministrative che impone una percentuale di presenza femminile. C’è chi sostiene che in questo modo, ovvero “forzando” l’inserimento femminile nei ruoli di potere, si possa procedere nella direzione della parità di genere. C’è però anche chi sostiene che inserire una donna in quanto donna e non in primis per la sua competenza costituisca invece apparentemente un passo avanti, ma nella realtà delle cose un passo indietro.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici

Un dibattito, questo, che si infiamma anche all’interno del mondo femminile, con differenti prese di posizione sia nazionali sia internazionali. Ma quando è stato evidenziato per la prima volta in Europa il problema della parità di genere in ambito politico?

Direttiva europea sulla partecipazione femminile

Di questa tematica si è cominciato a parlare concretamente alla fine del 1996, quando una Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea a proposito della partecipazione delle donne e degli uomini al processo decisionale raccomandava agli Stati membri di «promuovere una partecipazione equilibrata di donne e uomini agli organi e alle commissioni governative a tutti i livelli» e di «sensibilizzare le parti interessate all’importanza di prendere iniziative per giungere ad una partecipazione equilibrata di uomini e donne alle cariche pubbliche a tutti i livelli». Una direttiva molto importante dal punto di vista della parità di genere, caratterizzata anche da indicazioni più concrete:

Il Consiglio raccomanda agli Stati membri di prevedere, di attuare o di elaborare un complesso coerente di misure che favoriscano l’uguaglianza nel pubblico impiego e che rispettino il concetto di partecipazione equilibrata al processo decisionale, e di controllare che, qualora le associazioni siano effettuate mediante concorso, le commissioni che devono preparare i testi e quelle che devono svolgere gli esami riflettano il più possibile l’equilibrio tra donne e uomini.

Consiglio dell’Unione Europea

È lì che in Italia si iniziò a dibattere sul tema delle quote rosa, vista come una misura transitoria che potesse permettere di riequilibrare la differenza tra la partecipazione percentuale maschile e quelle femminile nei vari organi del nostro Paese. Un modo dunque per avvicinare l’universo femminile al mondo della politica e per far loro acquisire la giusta consapevolezza, utile a garantire una sicurezza nella vita politica.

Nilde Iotti

Nilde Iotti, prima donna della storia politica italiana a ricoprire una delle prime tre cariche dello Stato (© Twitter)

Donne in politica: Nilde Lotti e Tina Anselmi

Una delle figure femminili più importanti della storia della politica italiana è stata sicuramente Leonilde Iotti, meglio conosciuta come Nilde Iotti. Nata a Reggio Emilia nel 1920, prese parte attivamente alla Resistenza e iniziò la sua carriera politica entrando nelle fila del Partito Comunista Italiano, con il quale venne eletta in Parlamento per la prima volta nel 1948.

La sua fu una carriera politica molto longeva, che durò fino a quando, nel 1999, dovette ritirarsi a causa dei problemi di salute che di lì a poco la spensero. Fu Deputata dell’Assemblea Costituente nel 1948 e durante i suoi 51 di mandato nella Camera dei Deputati rimase nella stessa area politica, passando però in seguito al Partito Democratico della Sinistra e ai Democratici di Sinistra.

Ma il punto più alto della sua carriera politica fu toccato nel 1979, quando sotto il primo Governo di Francesco Cossiga divenne la prima donna d’Italia a ricoprire una delle prime tre cariche dello Stato: la presidenza della Camera dei Deputati, succedendo a Pietro Ingrao, ruolo che ricoprì fino al 1992. Questo un passo del suo discorso d’insediamento:

Io stessa vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione.

Nilde Iotti

Chi fu invece la prima donna a diventare Ministro della Repubblica Italiana? Questo primato spetta a Tina Anselmi, la quale divenne Ministro del Lavoro nel terzo Governo di Giulio Andreotti, nonché Ministro della Sanità nel quarto e quinto Governo guidati dallo stesso Primo Ministro. Nata a Castelfranco Veneto, prese parte alla Resistenza prima di diventare insegnante delle elementari e di avviare la sua militanza nella Democrazia Cristiana.

Sia Iotti che Anselmi furono sponsorizzate come candidate alla Presidenza della Repubblica. Colei che ci andò più vicina fu la prima, capace di ottenere nel IV scrutinio nel 1992 la bellezza di 256 voti, tutt’oggi un record per una donna. Nello stesso anno fu presa in considerazione anche Anselmi, così come nel 2006. Iotti, infine, fu vicina anche a diventare il primo Presidente del Consiglio donna grazie al mandato esplorativo affidatole nel 1989 da Cossiga, nel frattempo diventato Presidente della Repubblica.

Tina Anselmi

Tina Anselmi, prima donna della storia politica italiana a capo di un Ministero (© Twitter)

I numeri italiani delle donne in politica

Il trend italiano della partecipazione femminile alla vita politica è sicuramente in crescita ma comunque ben lontano rispetto alla parità di genere, soprattutto nei ruoli chiave di potere. Per quanto riguarda la rappresentazione parlamentare si è passati da 5% del 1948 al 35% del 2018, come evidenziato dal documento “Parità vo cercando, 1948/2018: Le donne italiane in settanta anni di elezioni”, redatto dall’Ufficio Valutazione Impatto del Senato.

Nel 2018 l’Italia ha visto per la prima volta l’elezione di una donna come seconda carica dello Stato: si sta parlando di Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato più votato dal 1987. Tuttavia in questi anni praticamente nessuna donna è andata effettivamente vicino alla guida del Paese come Primo Ministro. Problema che non riscontra per esempio la Germania, la cui guida politica è affidata da più di un decennio ad Angela Merkel.

“Grande Coalizione” in Germania: non solo parità in politica

Come si è mossa Angela Merkel per favorire l’inclusione delle donne nelle posizioni di potere? La Grosse Koalition, ovvero il Governo di larghe intese che è guidato dalla leader di Amburgo, ha trovato un accordo per un futuro disegno di legge che è stato definito come una «svolta storica» da Franziska Giffey, Ministra della Famiglia, degli Anziani, delle Donne e della Gioventù.

In cosa consiste tale accordo? Secondo quanto riportato da The Guardian, uno studio aveva evidenziato quanto nei consigli di amministrazione delle prime 30 società quotate sul DAX, indice di riferimento della Borsa di Francoforte, solamente 12,8% fosse femminile. Una percentuale ben distante dal 22,2% della Francia, dal 24,5% del Regno Unito e dal 28,6% degli USA. Ciò ha spinto la Grosse Koalition a trovare un accordo per porre rimedio a questa situazione utilizzando un meccanismo di quote rosa, definito da The Guardian come un «mandatory boardroom quota for women», ovvero una «quota femminile obbligatoria nelle sale del Consiglio».

Almeno una donna nel Consiglio di Amministrazione di imprese quotate in borsa con più di tre componenti. Questa la soluzione scelta dal Governo di Angela Merkel, ma non l’unica. Almeno il 30% degli organismi di controllo dovrà essere “in rosa” in caso di organizzazioni e aziende a partecipazione pubblica. Stiamo parlando dunque di una decisione di portata storica dal punto di vista della parità di genere.

Angela Merkel

Angela Merkel, leader della “Grande Coalizione” in Germania (© Twitter)

Le quote rosa sono nemiche delle donne in politica?

Un meccanismo, quello delle quote rosa, di cui si è iniziato a parlare concretamente nel 1996. Abbracciato, come visto prima, nella Germania di Angela Merkel ma non apprezzato in maniera plebiscitaria, neanche in Italia. Quale la tesi? Il fatto che al centro della questione debba esserci il merito, non il genere, e quindi che una donna non debba ottenere un incarico in quanto donna ma prima ancora perché competente.

«L’attuale dibattito che si è sviluppato in Italia», scrisse Angela Mauro su The Huffington Post a proposito della discussione che si sviluppò attorno all’istituzione delle quote rosa nella legge elettorale Italicum nel 2014, «mi rattrista perché è la spia dell’arretratezza culturale del nostro Paese». «Non siamo un paese scandinavo e si vede», continuava la corrispondente di affari europei, in quanto «da noi, parità e diritti sono ancora oggetto di discussione, come se fossero discutibili, come se non avessero a che fare con il sano concetto di uguaglianza».

Donne in politica in Nuova Zelanda: un Parlamento da record

Un segnale importantissimo in tempi recenti proviene invece dalla Nuova Zelanda. In uno dei due Paesi più popolosi dell’Oceania negli ultimi tre anni una donna ha conquistato la ribalta: trattasi di Jacinda Ardern, che nel 2017 divenne la più giovane leader di Governo del pianeta. Una storia politica, la sua, cominciata fin dalla giovane età e che la portò circa tre anni fa a divenire il personaggio di punta del Labour Party.

Le elezioni parlamentari la videro rimontare gli avversari del National Party senza però riuscire ad ottenere una vittoria alle elezioni. Tuttavia la sua maggior capacità di coalizione politica le permise di esser nominata Prima Ministra con un Governo di minoranza. Di lì tre anni intensi che l’hanno vista anche guidare il Paese attraverso la pandemia, riuscendo incredibilmente a dichiarare a giugno la Nuova Zelanda come coronavirus-free.

Un percorso che ha creato una vera e propria “Jacindamania”, capace di trascinare il partito alla vittoria alle elezioni di quest’anno. La visione politica di Ardern ha permesso al Parlamento, grazie al suo partito e al Green Party, con cui governa in coalizione, di raggiungere la cifra record del 48% di presenza femminile. Un segnale ancor più importante se si considera che il 55% dei nuovi parlamentari laburisti sono donne, così come il 70% dei nuovi verdi.

La strada è quella giusta

Quelli che stiamo vivendo sono anni di grande impatto e forti cambiamenti sociali. Una delle tematiche più calde è proprio quella dell’inclusione femminile nella vita politica e manageriale. Se nell’Unione Europea sono stati fatti grandi passi avanti dal 1996, allo stesso tempo non si può dire il ritmo di crescita sia il medesimo in ogni Paese, caratterizzato peraltro da misure differenti. Che siano o no uno strumento giusto, le quote rosa hanno permesso per esempio a tante donne in Italia e permetteranno a numerose donne in Germania di ricoprire importanti posizioni di potere, politico e manageriale. Chiaro è che la direzione deve essere sempre più quella della meritocrazia. Importante da questo punto di vista il segnale che proviene dalla Nuova Zelanda, il cui sistema elettorale ha segnato un passo importantissimo nonostante sia sprovvisto di un vero e proprio meccanismo di quote rosa. Forse qualcosa sta realmente cambiando nel mondo.

Leggi anche:

George Floyd sarà il simbolo di un vero rinnovamento culturale?

Jacinda Ardern e il Parlamento più inclusivo del mondo

Fake news e social network: come le piattaforme affrontano il problema

Condividi su:
Matteo Calautti

Matteo Calautti

Esterofilo e curioso osservatore di politica e attualità. Fondatore di Liguria a Spicchi e responsabile della comunicazione del Comitato Regionale Liguria di pallacanestro. Scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici