Oggi è la giornata contro l’eliminazione della violenza sulle donne. E accanto all’emergenza, ci sono alcune buone notizie.

Il 25 novembre è la giornata internazionale della violenza contro le donne. Nel nostro Paese i dati sono allarmanti: 109 donne uccise nel 2021, il 40% di tutti gli omicidi commessi nel Paese. I dati sui femminicidi, che circoscrivono il fenomeno alle cause per le quali viene commesso il delitto, dicono che da inizio anno sono 57 le donne assassinate, nella maggior parte dei casi da un partner o ex. Una speranza arriva dai dati relativi alle denunce: sono progressivamente in aumento, soprattutto dopo un anno come il 2020, che ha rappresentato per molte donne vittime di violenza un vero incubo.

Violenza sulle donne: un problema culturale. Anche per le donne

Martedì 22 novembre è stato presentato in Senato dalla Rete Antiviolenza del Comune di Milano e Gilead Sciences il risultato di un report di Astraricerche. Secondo il 40% degli uomini intervistati dare uno schiaffo alla partner se lei aveva flirtato con un altro non era considerato violenza: la pensa così anche il 20% delle donne intervistate. Sempre secondo questo rapporto, il 40% degli uomini non considera una violenza forzare la partner a un rapporto sessuale, a fronte di un 30% di donne che si dice concorde.

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Secondo dati Ipsos e WeWorld il 40% delle donne ha subito almeno una volta una forma di violenza o controllo. L’ambiente in cui è più probabile venire molestate è il posto di lavoro (il 70% delle donne afferma di aver subito discriminazioni sul lavoro), seguito da quello familiare. Ed è proprio nell’ambito familiare e affettivo che si consumano i delitti contro le donne: secondo i dati Istat del 2019, il 49,5% dei responsabili di femminicidio è un partner o ex.

Dati che, secondo Marco Chiesa di WeWorld (organizzazione italiana per la difesa dei diritti di donne e bambine), “non sono emergenziali, ma fanno luce su un problema strutturale che ci riguarda tutti e tutte. Questi numeri raccontano come forme invisibili di violenza siano parte integrante di dinamiche di coppia e sociali, proprio perché mancano strumenti culturali per individuarle”.

Dalle denunce, una speranza

Il 2020 è stato un annus horribilis per le donne vittime di violenza: le chiamate al numero di emergenza 1522 sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%). La convivenza forzata con un partner o un familiare violento, a causa della pandemia, ha portato molte donne all’esasperazione. Nonostante questi dati desolanti, un aspetto positivo è da evidenziare: sempre più donne hanno cominciato a denunciare, spesso dopo anni di silenzio.

A denunciare sono soprattutto le donne giovani: le ragazze fino a 24 anni hanno chiesto aiuto in una misura maggiore dell’11% rispetto al 2019. Proprio dai giovani è necessario partire per scardinare una cultura che ancora permea la società e condiziona la mentalità. Non solo “sorvegliare e punire”, dunque: la violenza contro le donne si combatte soprattutto attraverso la prevenzione. Cambiare l’immagine sociale della violenza, modificare la percezione dei ruoli sociali di donne e uomini. Scardinare stereotipi legati al genere fin dall’infanzia, educare a vivere con rispetto e consapevolezza sessualità e vita amorosa.

Proprio durante la pandemia sono nate numerose iniziative per aiutare le donne vittime di violenza. Come la “mascherina 1522” da ordinare in farmacia (un codice per segnalare con discrezione di allertare le forze dell’ordine). O l’app YouPol della Polizia di Sato per fornire un supporto immediato, anche in risposta alla diminuzione dei fondi stanziati per i centri antiviolenza. La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha annunciato nuove misure: pene più severe, maggiore collaborazione con le amministrazioni interessate e investimenti sulla prevenzione. Per ogni vittima che sceglie di denunciare, però, rimane un uomo violento: la soluzione è davvero solo il carcere?

E se cambiassimo gli uomini?

La criminologa Isabella Merzagora rassicura: “Non c’è da curare nessuno. Si tratta di una patologia culturale”. Ma indubbiamente molti uomini che hanno accettato di accedere a percorsi di recupero (spesso in alternativa al carcere), testimoniano che agire sulle cause funziona.

Mario (nome di fantasia), 49 anni, ha seguito un percorso terapeutico dopo aver scontato tre anni per stalking alla sua ex. “La vedevo come una “cosa” mia. Non potevo smettere di essere violento, semplicemente perché non avevo mai conosciuto un’alternativa. Anche mio padre picchiava mia madre e quando cresci con questi modelli rischi di essere condannato a ripeterli. Una volta che “apri gli occhi”, però, ti rendi conto del male che hai fatto e sei pronto a spezzare quella catena di violenza”.

In Italia i centri che lavorano con gli uomini maltrattanti sono oltre cinquanta. La loro attività sul territorio è importante quanto i centri antiviolenza per le donne: solo “spezzando la catena” la violenza contro le donne smetterà di essere un’emergenza sociale.

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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