Chiara Ferragni ha incontrato la senatrice a vita e sopravvissuta ad Auschwitz Liliana Segre. L’episodio porta alla ribalta una domanda importate: abbiamo bisogno degli influencer per sensibilizzare i giovani sul tema della memoria?

Chiara Ferragni e Liliana Segre contro l’odio

Chiara Ferragni, l’influencer numero uno in Italia e la senatrice a vita, sopravvissuta ai campi di concentramento, si sono incontrate a casa di quest’ultima. L’iniziativa è partita qualche settimana fa proprio da Liliana Segre, che ha espresso la volontà di conoscere Chiara Ferragni e di visitare con lei il memoriale della Shoah.

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Ferragni ha pubblicato il 9 giugno uno scatto in compagnia della senatrice, dicendosi “molto toccata dalla sua storia e dalla sua determinazione”. Liliana Segre sostiene che il contributo di Chiara Ferragni potrebbe essere cruciale per spingere i giovani a riflettere su certe tematiche e diventare più consapevoli.

“Il suo esempio potrebbe portare qui tanti ragazzi. Ho visto che suo marito Fedez si impegna nel sociale, mi piacerebbe conoscerla”. Se le due donne andassero effettivamente in visita insieme al memoriale della Shoah, si tratterebbe di un gesto estremamente potente dal punto di vista mediatico. Liliana Segre, da sempre in prima fila per i diritti e la memoria (impegno che le è costato minacce di morte e odio sui social), investirebbe ufficialmente Chiara Ferragni del ruolo di “testimonial” della memoria.

Ma abbiamo davvero bisogno dell’aiuto degli influencer per far sì che la memoria non vada perduta? Quali sono le implicazioni del potere dei re della rete applicato al sociale?

Influencer e temi sociali

Chiara Ferragni aveva già assolto la funzione di testimonial per il sociale in almeno due differenti occasioni. Durante la fase critica della pandemia, l’allora premier Giuseppe Conte aveva chiesto a lei e al marito Fedez di fare un appello sui social, invitando all’uso delle mascherine. I suoi selfie alla Galleria degli Uffizi a Firenze e al Museo Egizio di Torino, inoltre, avevano posto l’attenzione sull’importanza della valorizzazione del patrimonio artistico, facendo registrare un boom di visite.

Il contributo degli influencer nel sensibilizzare su temi sociali è potenzialmente infinito e si basa sullo stesso presupposto che regola gli engagement sui social. Il follower è portato a ripetere o a cercare di imitare il comportamento del modello di riferimento: la tecnologia avvantaggia questo processo, che è tendenzialmente acritico e passivo.

Quando i messaggi vengono veicolati attraverso lo schermo, gli elementi emotivi hanno la meglio su quelli cognitivi. Il riflesso condizionato e la reazione immediata hanno la meglio sulla riflessione mediata e sul giudizio, e la percezione del reale come presente sostituisce l’elaborazione del concetto nel tempo. L’“effetto Chiara Ferragni”, dunque, funziona bene anche se in maniera passiva: ma per suscitare reale empatia e impegno ci vuole altro che non sia la mera persuasione a copiare gli atteggiamenti di un leader.

Influencer troppo potenti: un bene o un male?

Alberto Mario Banti, autore de La democrazia dei followers, sostiene in questa intervista a VD che “la passività acritica che si cela dietro il concetto di follower ha un potenziale spaventoso per la democrazia. Oggi Fedez e Ferragni mandano al Paese un messaggio di responsabilità, ma cosa succederebbe se domani cominciassero a diffondere cose irragionevoli?”.

Spesso sono gli stessi governi a utilizzare gli influencer come arma di propaganda o a perseguitarli se si rifiutano di allinearsi. Il potere che gli influencer hanno di spostare e polarizzare le opinioni e le credenze va gestito e interpretato come l’espressione di un particolare momento storico, non come panacea di tutti i mali o, al contrario, origine di ogni male. Se Chiara Ferragni visitasse il memoriale della Shoah con Liliana Segre e il suo gesto servisse ad avvicinare i giovani al tema della memoria storica, sarebbe un bene.

Ma l’influencer dovrebbe fare un passo in più, contestualizzando e spiegando il motivo per cui si trova lì: andare al memoriale della Shoah non può essere venduto come l’atto di reclamizzare uno shampoo. La reazione dei followers, a quel punto, non sarebbe più spinta solo dal desiderio di imitazione: così sarebbe tutta un’altra story.

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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